Marco Bianchini 
 
ARCHITETTURA  E  URBANISTICA 
DELLE  COLONIE  GRECHE  D'OCCIDENTE
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
7) L’ordine dorico in Sicilia e Magna Grecia. 
 
In Sicilia e in Magna Grecia, nel VII e nel VI secolo, avvengono gli stessi sviluppi che abbiamo visto prima. L’architettura delle colonie d’Occidente presenta però anche alcune peculiarità. Innanzitutto c'è un uso molto più ricco delle terrecotte architettoniche. La sima laterale è sempre presente nei templi della Sicilia e della Magna Grecia,  mentre altrove è spesso assente.  C’è inoltre un ulteriore elemento: la lastra di rivestimento delle teste dei puntoni del tetto spiovente che formano una sporgenza la quale ripara il muro dalla pioggia. Questo sporto, che chiamiamo gocciolatoio o geison, viene protetto da un elemento fittile (fig. 1). In Occidente la sima, ritmata dai doccioni, e la lastra di rivestimento del geison vengono a costituire un gruppo inscindibile (figg. 2, 3).  
Sia in Grecia che in Occidente intorno alla metà del VI secolo tutta la trabeazione del tempio viene finalmente realizzata in pietra, compresa la cornice. Ma in Occidente, a differenza che in Grecia, le terrecotte architettoniche, continuano a essere utilizzate per rivestire il gocciolatoio (fig. 4). Quindi sopra le trabeazioni lapidee rimarranno ancora a lungo, strettamente associate, la sima laterale e la lastra di rivestimento del geison. In Sicilia, ad esempio nel tempio C di Selinunte della metà del VI secolo, che è tutto in pietra, sima e lastra di rivestimento del geison foderano non solo i due spioventi del frontone, ma anche la cornice lapidea che sta alla base del timpano, oltre alla cornice dei lati lunghi. In facciata formano quindi un grande triangolo (fig. 5), che è ornato al centro da un gorgoneion, anche questo in terracotta. La stessa concezione la troviamo nel tesoro dedicato da Gela nel santuario di Olimpia: anche qui le terrecotte rivestono sia i rampanti che la base del timpano (fig. 6). Nel tempio di Hera I di Poseidonia, la c.d. Basilica, le terrecotte invece non stanno sulla cornice orizzontale sotto il frontone; si svolgono sui lati lunghi e sui rampanti, formando un blocco molto alto e poco sporgente; i doccioni sono occlusi e hanno una funzione solo decorativa (fig. 7). Quest’ultimo tipo di tetto viene chiamato a baldacchino. La stessa esuberanza nell'impiego delle terrecotte architettoniche è attestata anche nel Lazio e in Etruria. Ritroviamo la medesima concezione della sima associata alla lastra di rivestimento del geison (fig. 8). Inoltre nei templi etrusco-laziali abbiamo più in basso un’altra fascia di lastre fittili che riveste le facce laterali dei mutuli di gronda che sono impostati sui muri perimetrali.  
Alcuni templi delle colonie greche d’Occidente, ci danno anche importanti informazioni in merito all’orditura lignea dei tetti. Nei blocchi lapidei delle cornici sono spesso visibili gli incassi delle travi (fig. 9). Recentemente è stato effettuato uno studio sul tetto del tempio C di Selinunte grazie al rilievo dei blocchi lapidei, che sono in gran parte in posizione di crollo. Per cui è stato possibile ricostruire l’intero reticolo dell’armatura (figg. 10, 11).  
In Magna Grecia e in Sicilia i templi del VII secolo, come in Grecia, sono realizzati ancora con materiali deperibili. Uno degli esempi più antichi è il tempio h di Megara Hyblaea, un oikos prostilo in antis comprendente una fila di pali al centro per sostenere il tetto, secondo una tipologia molto diffusa in quest’epoca (fig. 12). Il tempio A di Himera, di fine VII, ha lo zoccolo in grossi blocchi di pietra e l’alzato in ciottoli tenuti insieme da una malta di terra (fig. 13). Più comunemente l’alzato è in mattoni crudi come ad esempio anche nel tempio di Apollo Alaios a Cirò Marina, presso Locri, dotato di una peristasi in pali di legno (fig. 14).  
Il tempio di Apollo a Siracusa, degli inizi del VI secolo, è uno dei primi edifici che hanno gran parte dell’alzato in pietra. È molto interessante perché ci troviamo in una fase di transizione. Appaiono realizzati in pietra i muri perimetrali della cella, costituiti da conci in forma di parallelepipedi (opera quadrata), le colonne della peristasi e l’architrave soprastante (fig. 15). Il fregio è stato ricostruito in legno da Gullini, mentre Mertens lo restituisce in pietra perché ha individuato dei triglifi lapidei riferibili a questo tempio (fig. 16). Tutto il resto è in legno: la cornice, le colonne della cella e l'intera orditura del tetto. Si privilegia l’uso della pietra sull’esterno perché è la parte più esposta alle intemperie, ma anche maggiormente sollecitata dal peso del tetto. L’architrave presenta una curiosa sezione a L per essere alleggerito. Nella parte interna è integrato da travi di legno. In Sicilia, come nel Peloponneso, gli architetti fanno ricorso a pietre locali: sono rocce calcaree tenere, impure e porose (materiale definito poros dai greci), che hanno una scarsa resistenza a trazione. Per cui nell'Apollonion di Siracusa, che è uno dei  primi grandi edifici lapidei, i costruttori sono talmente prudenti che la larghezza dell’intercolumnio è minore del diametro della colonna (figg. 16, 17). I capitelli sono larghissimi, sono vere e proprie mensole che ampliano quanto più è possibile la base di appoggio degli architravi. La parte libera tra i due capitelli è larga appena cinquanta centimetri. È evidente che qui si vuole evitare qualunque rischio. Si costruisce con grandi margini di sicurezza, davvero esageratamente.   
Abbiamo visto prima una ricostruzione del fregio dorico in terracotta del tempio di Apollo a Thermo (fig.18). Quello del tempio di Selinunte è in pietra ma è ancora un elemento relativamente sottile, come i fregi fittili, perché non riempie l’intero spessore della trabeazione, ma riveste un elemento ligneo che sta dietro (fig. 16). Le famosissime metope in pietra dell’Heraion del Sele vicino Poseidonia, le quali sono state riutilizzate in un edificio di età successiva che è stato ricostruito nel museo di Paestum ma in origine stavano probabilmente sul primo tempio di Hera, sono lastre sottili come quelle dell’Apollonion di Siracusa (fig. 19); anche queste pertanto erano collocate a ridosso delle travature di legno. Il lato superiore sia delle metope che dei triglifi mostra un profilo irregolare; sopra pertanto non potevano appoggiarvi degli elementi lapidei, ma ci stava una cornice di legno. 
Di qualche decennio successivo è il tempio C di Selinunte, che è stato oggetto di una parziale anastilosi negli anni venti del secolo scorso (figg. 20, 21). È un edificio già molto più evoluto. Presenta alcune caratteristiche che resteranno tipiche di molti templi siciliani; c’è una accentuata frontalità dovuta alla presenza di un secondo colonnato dietro la facciata e alla cella (naos) molto allungata. Il portico esterno inoltre è molto ampio. I templi siciliani sono quasi degli pseudodipteri. Propriamente nel tempio pseudodiptero la distanza tra il muro della cella e il colonnato esterno è pari a due intercolumni. Qui è lievemente inferiore.  
Gli intercolumni, qualche decennio dopo l’Apollonion di Siracusa, appaiono molto più spaziosi. Non c’è più quell’affastellamento che abbiamo visto prima.  Il progettista si mostra molto più sicuro sulla tenuta degli architravi in pietra. In ogni modo gli intercolumni restano notevolmente più stretti rispetto a quelli dei templi ionici delle regioni orientali del mondo greco. L’aspetto più massiccio che assume l’ordine dorico è proprio da ricercare nel fatto che in tutti i territori dove si sviluppa l’architettura dorica, sia nel Peloponneso che in Occidente, non esistevano giacimenti di marmo;  per cui si usavano rocce meno resistenti.  
L’architettura della Sicilia e della Magna Grecia appare molto più creativa di quella della Grecia propria. Si elaborano in età arcaica diverse tipologie di templi. Alcuni di questi, come il tempio di Hera I a Poseidonia, la c.d. Basilica, della metà del VI secolo, si caratterizzano per il fatto di mantenere una fila di colonne sull’asse centrale dell’edificio come i primitivi templi lignei, pur essendo in pietra (fig. 22). Di conseguenza si ha anche un numero dispari di colonne sulla fronte. La fila di colonne centrale ha un ruolo strutturale negli edifici più antichi; serve a sostenere la trave di colmo. In seguito si tenderà ad eliminarla, sostituendola in qualche caso con due file di sostegni che determinano una navata più ampia al centro.  Va tenuto conto però che in questi templi arcaici che hanno ancora l’adyton, ambiente che si apre verso la cella (più tardi sarà sostituito dall’opistodomo, aperto sulla peristasi), la fila di colonne centrale può trovare forse una ragione rituale. L’adyton presenta qui due porte; troviamo due aperture anche sul lato anteriore della cella. Si attuava probabilmente un percorso processionale che dal pronaos entrava nel naos tramite una delle due porte, percorreva la navata situata in corrispondenza, entrava nell’adyton e poi procedeva in senso contrario nell’altra metà dell’edificio.  
Molto particolari nel tempio di Hera I sono i capitelli dorici, i quali presentano sotto l’echino una gola decorata con foglie d’acqua, sormontata da una fascia con anthemion; alcuni echini erano inoltre ornati con fiori di loto in rilievo e dipinti (fig. 23). Potrebbe sembrare una bizzarria. Eppure questi capitelli così riccamente decorati stavano anche nel tempio di Zeus a Olimpia, costruito intorno il 480 e ritenuto il canone dell’architettura dorica del V secolo. Ce li mostrano i disegni eseguiti dagli architetti europei dell’800 che visitarono la Grecia (fig. 24). Costoro ci hanno lasciato molte riproduzioni delle pitture che decoravano i templi antichi, realizzando delle tavole ricostruttive sulla base di tracce di colore che oggi non sono più visibili. Ci viene da pensare che questo tipo di decorazioni fossero realmente assai diffuse sui capitelli dorici. A Poseidonia sono state realizzate in rilievo, altrove invece erano solamente dipinte. Fra l’altro a Mitropolis, in Tessaglia, in un tempio dedicato ad Apollo della metà del VI secolo, sono stati trovati recentemente dei capitelli dorici con dei fiori di loto in rilievo proprio come a Poseidonia.   
A Metaponto il tempio B, dedicato ad Apollo, presenta una fila di colonne al centro come la “Basilica” di Poseidonia (fig. 25). L’edificio di prima fase resta incompiuto, viene ristrutturato e completato nella seconda fase. È il primo esempio di tempio pseudoperiptero: nella seconda fase le colonne della peristasi vengono raccordate su tre lati con un muro continuo in opera quadrata (fig. 26); probabilmente anche questa soluzione ha motivazioni cultuali. Intorno al tempio sono state trovate numerose dediche votive aniconiche in pietra che sono state riferite a un culto oracolare di Apollo, il quale doveva svolgersi in ambienti appartati e nascosti alla vista.  
Il tempio di Hera II a Poseidonia, c.d. tempio di Nettuno, posto accanto alla “Basilica”, è ancora molto ben conservato (figg. 27, 28). È l’edificio della Magna Grecia più vicino al tempio di Zeus a Olimpia, che lo precede forse di dieci-venti anni (fig. 29). Entrambi sono caratterizzati dalla presenza dell’opistodomo (l’adyton tende a sparire nel V secolo) e da due file di colonne a due ordini all’interno della cella. Il tempio di Poseidonia è leggermente più piccolo; si distingue per la presenza di due scale dietro il muro frontale della cella, cosa che è tipica di molti templi della Magna Grecia e della Sicilia. Ha una colonna in più su ciascuno dei lati lunghi: sono 6 x13 nella peristasi del tempio di Zeus, 6 x 14 nel “Tempio di Nettuno”.  I templi occidentali tendono a essere lievemente più lunghi; in ogni caso nel V secolo si sono notevolmente accorciati rispetto ai prototipi di età arcaica.  
Il tipo più comune nel V secolo sarà privo di colonnati dentro la cella. Mostriamo qualche esempio: il tempio della Vittoria a Himera, con opistodomo, le scale dietro la fronte della cella, peristasi con 6 x 14 colonne (fig. 30). Nei templi di Agrigento troviamo peristasi con 6 x 13 colonne come in Grecia, ma con la pianta tipica dei templi occidentali, caratterizzata dalla presenza delle scale e privi di colonne interne (fig. 31). Un tempio molto particolare è  l’Olympieion di Agrigento caratterizzato da un muro ritmato da semicolonne doriche che gira tutto intorno all’edificio, con due porte simmetriche sulla facciata (fig. 32). I talemoni tra le semicolonne concorrono a sostenere la trabeazione. Gli ambienti interni erano ritmati da grandi paraste (fig. 33). Si è molto discusso sul significato di questo edificio. E’ stato sostenuto che sia stato costruito dopo la vittoria di Himera del 480 contro i Cartaginesi e che i talemoni simboleggino i prigioneri punici. La planimetria fondata su una  griglia rigorosa di assi ortogonali su cui si allineano tutti i pilastri e le semicolonne rimanda a modi di progettare che sono tipici della Ionia. Gli ascendenti di un impianto di questo tipo potrebbero essere i grandi dipteri dell’Asia Minore, come il Didymeion di Mileto qualificato da un grande ambiente centrale a cielo aperto (tempio ipètro) scandito da paraste molto aggettanti (fig. 34). 
 
 
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