Marco Bianchini 
 
ARCHITETTURA  E  URBANISTICA 
DELLE  COLONIE  GRECHE  D'OCCIDENTE
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
6) Gli sviluppi dell’architettura monumentale in Grecia nel VII e VI secolo. L’origine dei due ordini. 
 
Abbiamo presentato  prima una panoramica sull’edilizia greca di età geometrica. L’architettura monumentale si sviluppa nel VII secolo e soprattutto nel VI secolo, quindi in un periodo che è posteriore alla fondazione di gran parte delle città greche della Sicilia e della Magna Grecia. Questo processo ha luogo in Grecia, ma parallelamente anche nelle colonie d’Occidente. Vediamo quali sono i  capisaldi fondamentali. 
Uno di questi è l’introduzione dei tetti di tegole, che sostituiscono quelli straminei. I primi tetti fittili sui templi compaiono intorno al 670 a.C. Tra  gli esempi più antichi ci sono il primo tempio di Apollo a Corinto e il primo tempio di Poseidone a Istmia. Troviamo due tipologie di tegole nel mondo greco, quelle laconiche, che sono tutte curvilinee (fig. 1), e quelle corinzie con l’embrice piatto e il coppo a sezione triangolare (fig. 2). Sui tetti dei templi si introducono anche quegli elementi che definiamo “terrecotte architettoniche”, che hanno un valore sia decorativo che funzionale. Ricordiamo: le antefisse che sono elementi di chiusura dei coppi di gronda; le sime, dotate di un risvolto che trattiene e convoglia le acque pluviali lungo i bordi del tetto. Le sime rampanti stanno sui frontoni (fig. 2); le sime laterali, che a differenze delle prime non sono presenti in tutti i templi, corrono orizzontalmente sui lati lunghi del tetto, ritmate dai doccioni che scaricano l’acqua piovana e dalle antefisse (fig. 3). Le antefisse stanno sempre in corrispondenza dei coppi, i doccioni stanno in asse con il centro della tegola.  
Abbiamo di conseguenza i primi templi a pianta rettangolare. Il tetto di tegole, che richiede falde rettilinee, contribuisce infatti a sviluppare impianti di questo tipo. Gli edifici del VII secolo sono però ancora in gran parte costituiti da materiali deperibili. Il tempio di Poseidone a Istmia è uno dei pochissimi esempi  di questo periodo con il muro della cella in opera quadrata (fig. 4). Gli altri templi greci hanno ancora lo zoccolo lapideo e il resto del muro in mattoni crudi. Tutti i sostegni verticali, sia nella peristasi che nell’interno della cella, sono lignei, anche nel tempio di Poseidone a Istmia. Il tempio C di Apollo a Thermo, che è preceduto da alcuni edifici curvilinei di età geometrica, presenta anch’esso zoccolo lapideo, alzato in crudo e colonne lignee (fig. 5). La litizzazione degli edifici templari avverrà  nel corso del VI secolo.  
Si assiste poi alla graduale formazione degli ordini architettonici: l’ordine dorico e l’ordine ionico. Vitruvio ha fatto intendere che i partiti decorativi della trabeazione lapidea dell’ordine dorico sarebbero derivati dai sistemi di assemblaggio degli elementi lignei delle primitive costruzioni. Secondo il suo punto di vista, i triglifi del fregio in origine erano delle placche di legno che rivestivano le teste delle travi orizzontali che scavalcano la peristasi, poggianti sull’architrave, per nasconderle alla vista; i mutuli ricorderebbero lo sporto dei puntoni sotto il gocciolatoio. Questa teoria ha trovato largo seguito tra gli archeologi moderni. Von Gerkan in particolare ha prodotto delle bellissime ricostruzioni dei prototipi lignei del tempio dorico, partendo dalle idee di Vitruvio e aggiungendo ulteriori dati: le gutte imiterebbero i chiodi di bronzo che fissavano i vari elementi della carpenteria (fig. 6). Oggi da parte nostra c’è una maggiore cautela al proposito. Sappiamo per esempio che nella formazione della sintassi decorativa degli ordini un ruolo molto importante lo hanno avuto le terrecotte architettoniche, la cui funzione era quella di proteggere gli elementi lignei della trabeazione dagli agenti atmosferici. Gli scavi archeologici hanno individuato pezzi di fregi dorici realizzati in terracotta (fig. 3). In qualche caso i triglifi non sono stati trovati in associazione con le metope fittili, per cui si è pensato che questi fossero ancora in legno. In ogni caso i fregi dorici in terracotta costituiscono un rivestimento relativamente sottile degli elementi della carpenteria. Proprio in Magna Grecia si hanno diversi esempi di terrecotte architettoniche in cui il fregio dorico è un motivo continuo, con triglifi stilizzati, inquadrati da modanature di gusto ionico, che non seguono il ritmo delle regulae e non hanno necessariamente un rapporto con la struttura lignea posta alle spalle (fig. 7). Sono stati trovati fregi dorici aventi un mero valore decorativo anche su alcuni altari di età arcaica (fig. 8). Si è notato inoltre che nei templi arcaici le travi orizzontali che formano il soffitto della peristasi nella maggior parte dei casi non insistono sull’architrave, quindi non stanno in corrispondenza dei triglifi, ma più in alto: si raccordano con i puntoni e vengono alloggiati nei blocchi della cornice (fig. 9). Quindi per tutte queste ragioni oggi si hanno molto dubbi in merito all'assunto vitruviano. Resta un fatto però su cui occorre riflettere: nell’ordine dorico un triglifo ogni due è posto sempre rigorosamente in asse con le colonne; questo rapporto inscindibile inevitabilmente ci fa pensare a un qualche nesso tra il triglifo e le travi della copertura le quali per ragioni statiche debbono essere posizionate preferibilmente in corrispondenza dei sostegni.   
Si suppone che anche la sintassi decorativa dell’ordine ionico abbia origine da costruzioni lignee, in particolare da edifici coperti a terrazza. Questi disegni ricostruttivi ci fanno vedere le trasformazioni di cui è stato oggetto il tempio di Dioniso a Yria di Nasso dall’età geometrica all’età arcaica (figg. 10, 11). Nelle prime tre fasi troviamo colonne lignee e muri in mattoni crudi; due navate, poi cinque, poi tre. Finalmente nel VI secolo avviene la litizzazione dell’edificio con colonne in marmo e muri in blocchi di granito. Negli edifici ionici sia nelle Cicladi che in Asia Minore si usa subito il marmo, materiale che ha resistenza a trazione e a compressione molto più elevata rispetto alla pietra calcarea dei templi dorici dell’Occidente e del Peloponneso. Questo consente di realizzare intercolumni molto più ampi e colonne più sottili. È uno dei motivi per cui l’ordine ionico fin dalle origini si caratterizza per una maggiore snellezza rispetto all’ordine dorico. Gli intercolumni della facciata del tempio di Dioniso a Yria misurano almeno quattro metri sugli interassi (fig. 12).   Il marmo tra l’altro viene usato a profusione nelle Cicladi, dove ci sono molto giacimenti di questo materiale e si aprono diverse cave. In età arcaica vengono realizzati in marmo anche la trabeazione, le travi del tetto e persino le tegole.  
Si ritiene che il capitello ionico abbia origine da un semplice elemento di raccordo, messo tra il palo verticale e gli architravi, il quale a un certo momento diviene oggetto di un trattamento decorativo (fig. 13).  Per quanto riguarda la trabeazione si è pensato che i dentelli abbiano origine dalle teste dei travicelli orizzontali che formano il soffitto, fittamente disposti sopra gli architravi (fig. 14). Queste travi orizzontali che sporgono sulla facciata le vediamo anche in alcuni modelli votivi dai santuari di Hera (fig. 15). Nella trabeazione litica dell’Artemision di Efeso di età arcaica subito sopra l’architrave troviamo la cornice a dentelli (fig. 16); l’ordine ionico si arricchisce poi con una serie di modanature continue, con vari motivi decorativi come l’ovolo o il kyma lesbio, che sono dei raccordi posti tra gli elementi principali della trabeazione. Nelle prime fasi, perlomeno in ambiente microasiatico, ancora non c’è il fregio. I dentelli che realizzano la cornice, cioè la sporgenza che serve a  riparare la facciata dalla pioggia, stanno sopra l’architrave. La trabeazione ionica “canonica” tripartita — architrave, fregio, cornice — si impone più tardi, durante il IV secolo.  Tant’è vero che nei templi arcaici della Ionia, mancando un fregio che può ospitare un ciclo narrativo continuo, il racconto figurato viene risolto talvolta nella sima (fig. 16).   
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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