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Introduzione 
 
Sono trascorsi più di trent’anni da quella stagione di grande rinnovamento culturale che in Italia investì anche il mondo dell’archeologia. Si affacciò allora sulla scena il metodo dell’indagine stratigrafica che cominciò a essere praticato in primo luogo sugli scavi didattici frequentati dagli studenti universitari. Si impose il principio che nell’attività di documentazione non bisogna trascurare alcun tipo di informazione perché qualunque traccia può restituire dati importanti ai fini della comprensione del contesto indagato. L’archeologia si trasformò di conseguenza in una scienza storica in senso lato, interessata a esplorare i molteplici aspetti del mondo antico, dal paesaggio alle condizioni di vita degli uomini più modesti, e non più solamente i grandi eventi bellici e politici.  
In quegli stessi anni venne istituita nella Facoltà di Lettere dell’Università La Sapienza, a Roma, la Cattedra di Rilievo e analisi tecnica dei monumenti antichi, dove si elaborò una disciplina nuova sulla scia dell’insigne tradizione del rilievo architettonico per adeguarla alle particolari esigenze della documentazione archeologica. La rappresentazione degli edifici antichi poteva fare a meno delle ombre proiettate, elegantemente tratteggiate con la penna a china, richiedendo piuttosto un’attenta lettura dei rapporti stratigrafici delle pareti che serviva a tradurre le vicende storiche dei manufatti. L’insegnamento di Giuliani si è espresso su due assunti fondamentali: il rilievo archeologico è lo strumento principale per interpretare e ricostruire i monumenti del passato; ma al tempo stesso non è possibile eseguire un rilievo corretto se non si conoscono l’architettura e le tecniche costruttive dell’antichità. Il rilievo non è una fotografia della realtà ma è il frutto di una interpretazione che seleziona alcuni elementi significativi in mezzo agli infiniti segni che compongono la visione del manufatto. Ne consegue che l’insegnamento del rilievo archeologico non può essere separato da quello delle tecnologie edilizie e delle culture materiali del mondo antico.  
Gli studenti di lettere che venivano dai licei classici e avevano quindi alle spalle una formazione eminentemente umanistica impararono a cimentarsi con attività tecniche come lo scavo, il rilievo, il disegno geometrico, la fotografia. I nuovi metodi di lavoro comportarono una produzione di documenti — soprattutto rilievi, schede di unità stratigrafica, fotografie di scavo — , incomparabilmente più copiosa rispetto al passato. I dati erano riportati su supporti cartacei che venivano impilati e raccolti in faldoni oppure arrotolati dentro i tubi portadisegni. 
L’informatica è arrivata in seguito, imponendosi gradualmente nel corso degli anni novanta e offrendoci utilissimi strumenti che avrebbero agevolato il nostro lavoro, dal rilievo sul campo alla archiviazione ed elaborazione dei dati. Tuttavia l’approccio con i nuovi mezzi non è stato indolore. Si sono distinti già nel decennio scorso alcuni settori di punta che hanno saputo mettere a frutto le nuove tecnologie in ambito archeologico, soprattutto nel GIS e nella documentazione del territorio, proponendo lavori di elevata qualità. Ma in linea di massima c’è stato un ritardo nel nostro settore rispetto agli altri, soprattutto per gli studiosi della mia generazione che si sono formati all’università in un’epoca in cui i computer erano quasi sconosciuti. L’informatica è una materia complessa, in particolare per chi ha ricevuto una formazione di tipo umanistico. Quando ha cominciato a imporsi nella vita corrente, la maggior parte di noi ha rinunciato oppure si è accostata a pochi programmi elementari come gli elaboratori di testi o i più diffusi browser che consentono la navigazione in internet. Questo approccio di tipo minimalista fa sì che ancora oggi molti archeologi ritengono che l’informatizzazione della propria documentazione di scavo si risolva trascrivendo i dati delle schede di unità stratigrafica in un editore di testo oppure portando in eliografia i rilievi lucidati con la penna a china per farli scansionare e salvare su un dischetto. In realtà si tratta di soluzioni insufficienti; l’unico risultato pratico sarà quello di poter visualizzare questi documenti sullo schermo di un computer, evitando di annaspare in mezzo a cumuli di carta, ma si rinuncia alle innumerevoli possibilità di trasformazione e di interscambio dei dati che sono consentite da strumenti ben più appropriati come i programmi per la gestione dei database, nel caso delle schede, e i CAD per la documentazione grafica.  
I pionieri che nel corso degli anni novanta del secolo scorso hanno voluto utilizzare questi strumenti in maniera adeguata per il proprio lavoro di archeologi hanno dovuto fare tutto da soli, spesso inventando e sperimentando, a causa della carenza di adeguati supporti didattici. I testi che trattano dei metodi di informatizzazione dei dati sono dedicati ad attività professionali diverse dalla nostra. I manuali di istruzione dei vari software di grafica in commercio sono il più delle volte mattoni indigeribili che illustrano procedure che vanno bene per l’attività di progettazione di geometri, architetti e ingegneri, ma non ci insegnano a utilizzare tali programmi per le nostre particolari esigenze. D’altre parte la stessa specificità del rilievo archeologico, che richiede la redazione di disegni molto dettagliati tracciati in buona parte a mano libera, ha contribuito a scoraggiare il ricorso ad applicativi di tipo vettoriale che sembravano concepiti eminentemente per il disegno geometrico. 
Oggi accade spesso che gli archeologi si trovino estromessi dalla attività di documentazione grafica di determinati contesti, la quale viene svolta in loro vece da coloro che detengono le tecnologie. Questa situazione purtroppo è anche la conseguenza di un pregiudizio molto comune nel nostro ambiente. Se da una parte è scontato per chiunque che la conduzione di uno scavo e la relativa compilazione delle schede di US debbano essere affidati a un archeologo dotato delle necessarie competenze, purtroppo dall’altra ancora molti colleghi non ritengono necessaria la stessa cosa quando si tratta di rilievi. È stata fino a ieri diffusa convinzione che chi fa il rilievo non debba essere un archeologo pensante, in grado di leggere i resti antichi sulla base di quanto appreso dai propri studi, ma piuttosto un disegnatore dotato di una “bella mano”. Questa stessa mentalità, in seguito alle innovazioni tecnologiche degli ultimi anni, sta producendo il risultato che la documentazione grafica di scavi ed edifici antichi venga affidata a chi possiede e sa manipolare le nuove macchine e quindi ad architetti, geometri, ingegneri o meri tecnici informatici, nulla importando la competenza come archeologi. Ma se perlomeno il ragazzo di bottega di ieri faceva il suo “bel disegno” misurato sotto il vigile controllo dell’archeologo “scavatore” che lavorava a fianco e lo avvertiva delle eventuali mancanze, il tecnico informatico di oggi “post-processa” nel chiuso del suo laboratorio, lontano dagli occhi dell’archeologo il quale in ogni caso, anche se vede, poco capisce di quelle procedure e non ha quindi strumenti per intervenire. Il risultato è che si rischia sempre più spesso di produrre rilievi tanto dispendiosi quanto inutili, poiché non interpretano e non rappresentano in modo corretto, determinando sul piano culturale un inaccettabile ritorno al passato.  
Quest’approccio basato su una illimitata fiducia verso le nuove tecnologie, che è tipico non solo del tecnico puro ma anche di chi all’opposto affida questi lavori nulla conoscendo delle macchine e dei programmi che saranno utilizzati, porta alla convinzione che tutto può essere risolto in laboratorio, si sta sul cantiere il minor tempo possibile e si elimina completamente la fase del rilievo diretto. Invece ne risentirà inevitabilmente la qualità finale della restituzione.  
La strada da percorrere è quella di mettere gli archeologi che escono dall’università in condizione di conoscere e utilizzare i nuovi strumenti informatici, in modo da renderli di nuovo protagonisti di una disciplina che trent’anni fa ha voluto dichiararsi scientifica e umanista al tempo stesso e ricomporre questa pericolosa frattura che si va formando tra studiosi dell’antichità e camici bianchi. Ma parallelamente è anche necessario chiarire che non tutto può essere svolto dalla macchina. È indispensabile saper ritrovare il contatto fisico con il monumento il quale ci serve per osservare con attenzione, confrontare, ragionare, verificare le nostre ipotesi.  
Ho pertanto ritenuto opportuno proporre un libro di testo il quale — partendo anche dalle esperienze professionali che ho maturato in questi anni - si rivolge principalmente agli archeologi con l’intento di insegnare, con semplicità di esposizione, l’utilizzo delle tecnologie che ci servono per il nostro lavoro; ma vuole anche indicare un metodo operativo il quale, pur se completamente aggiornato nelle procedure dai nuovi strumenti impiegati, sia in grado di produrre risultati coerenti rispetto ai principi dell’archeologia stratigrafica. Il primo capitolo non a caso è dedicato al tema delle rappresentazioni grafiche. Ho voluto parlare prima di ogni altra cosa dei requisiti che dovrebbe presentare il prodotto finale, a prescindere dai mezzi utilizzati. Quello che si chiede nella sostanza è un rilievo esatto e una rappresentazione chiara del contesto documentato, nel rispetto di determinate convenzioni e adeguata alle esigenze di lettura e di analisi dei manufatti antichi.  
Nei capitoli successivi vengono presentate le diverse tecniche del rilievo. Si descrivono i principali strumenti di rilievo indiretto — stazione totale, GPS, fotogrammetria, laserscanner — spiegandone in generale il funzionamento e poi, più concretamente, il modo in cui possono essere adoperati per la documentazione archeologica. Si tratta di tecnologie che sono di grande aiuto, spesso indispensabili. Al tempo stesso però viene ribadita la centralità del rilevo diretto, procedura che è essenziale per leggere in dettaglio e per interpretare correttamente il contesto che si vuole rappresentare.  
La seconda parte del libro si occupa dei programmi di grafica. Si parla in termini generali delle differenze tra immagini raster e vettoriali e tra i relativi tipi di software, suggerendo una serie di metodologie per le elaborazioni grafiche in ambito archeologico, anche portando degli esempi concreti. Successivamente si entra nel vivo di questi applicativi, in particolare del CAD che è uno degli strumenti di disegno più importanti eppure tra i più ostici per i principianti. Si inizia con le elaborazioni grafiche in 2d dei rilievi per arrivare alle ricostruzioni tridimensionali le quali sono il risultato di un lavoro di documentazione, di ricerca, di analisi e di elaborazioni di dati di diversa natura e provenienza. Il volume si conclude trattando dei database alfanumerici e dei GIS, necessari per costruire sistemi informativi aperti, in cui far confluire tutti i dati del nostro lavoro, da aggiornare e da incrementare ma già da subito consultabili.  
Come si è detto c’è la esposizione di una metodologia, ma è al contempo un testo pratico che insegna a usare comandi e procedure dei vari programmi in relazione al nostro lavoro. Ho ritenuto doveroso dare questa impostazione. Se continuiamo a restare sui binari di un insegnamento esclusivamente teorico non risolveremo mai in modo adeguato il problema dell’apprendimento di questi mezzi. Dobbiamo “sporcarci le mani” con i software per capire come funzionano e come si usano, esattamente con lo stesso spirito con cui sugli scavi universitari didattici di trent’anni fa abbiamo incominciato a scavare in prima persona, imparando a manovrare trowel, picconi e carriole. Ma in alcun modo non è il manuale di questo o quell’altro determinato programma. Non è stato necessario spiegare il funzionamento dei comandi facendo riferimento a un software specifico. Prendendo confidenza con i programmi ci si rende conto che quelli appartenenti alla stessa famiglia condividono lo stesso linguaggio; i comandi si differenzieranno per lo stile grafico delle relative icone o per la disposizione delle barre sullo schermo; alcuni software — non sempre i più costosi come si crede — svolgeranno più funzioni di altri; ma le procedure nella sostanza sono uguali per tutti. L’importante è salvare il proprio lavoro in un formato di tipo universale, in modo da garantirne l’interoperabilità. Chi insegna queste materie ha d’altra parte un dovere di neutralità verso i prodotti in commercio; in questo caso si è anzi cercato di fare una decisa scelta di campo a favore dei programmi open source, liberamente disponibili in rete, in mezzo ai quali si trovano prodotti di elevatissimo livello qualitativo che nascono da una libera e democratica collaborazione internazionale tra sviluppatori e che hanno la forza di contrastare le posizioni di monopolio dei soliti noti. 
Non si pretende di mettere chi leggerà questo volume nelle condizioni di utilizzare con perizia la totalità dei programmi che sono qui illustrati. Raggiungere una buona padronanza di un paio di software richiede già un notevole impegno. L’importante per prima cosa è rendersi conto delle possibilità che questi strumenti ci offrono, poi ognuno potrà approfondire nella direzione che ritiene più consona ai propri interessi. Certamente è auspicabile anche una semplificazione nel settore. L’immissione nel mercato di prodotti sempre più diversificati e difficili da utilizzare comporta come inevitabile conseguenza che solo tecnici informatici altamente specializzati saranno in grado di manipolarli, allontanando ulteriormente tutti gli altri dal controllo e dalla gestione di queste risorse. L’utilizzo di un buon CAD generico con programmi e procedure entrati ormai nel linguaggio universale è sicuramente preferibile a un complicato software di modellazione di fascia alta accessibile a pochi, anche se si dovrà rinunciare a qualche perfezionismo. L’importante è saper gestire il grosso del lavoro, alcuni dettagli potranno eventualmente essere delegati a terzi senza troppi danni.  
Più in generale questo testo ha la pretesa di rivolgersi anche a coloro che non hanno interesse a manipolare in prima persona questi strumenti. Penso che conoscere determinate metodologie e i termini principali del linguaggio informatico sia il bagaglio minimo di nozioni necessario oggi a qualunque archeologo, soprattutto nel caso in cui si riveste il ruolo di committenti di questo tipo di lavori. Altrimenti si corre il rischio di affidarsi completamente ai consigli, un poco interessati, di chi ci vuole vendere a tutti i costi il suo lavoro, anche allo scopo di ripagarsi le macchine acquistate a caro prezzo.  
E’ inoltre importante fare attenzione che queste discipline, cui vengono dedicati nelle facoltà di lettere alcuni specifici corsi di insegnamento, non si trasformino in scienze autonome. Oggi più che mai è necessario ribadire che lo studio del rilievo e delle tecnologie informatiche in ambito archeologico non può essere disgiunto da quello dell’architettura e più in generale della civiltà antica. Chi si specializza in questo settore non può limitarsi a proporre articoli e interventi che si riducono a una mera esposizione delle metodologie adottate ma ha il diritto-dovere di produrre dei risultati scientifici che concorrano ad ampliare il quadro di conoscenze sulle culture materiali del passato. Il rilievo, supportato dalle nuove tecnologie, è uno strumento preziosissimo, potremmo anzi dire insostituibile, per l’analisi e l’interpretazione dei resti antichi. L’auspicio pertanto è che un adeguato apprendimento di questi metodi di lavoro possa contribuire a far fiorire gli studi, in particolare nel campo architettonico dove c’è molto da fare, anche consentendo la realizzazione di importanti monografie sui tanti monumenti che ancora attendono un’approfondita lettura e una convincente ricostruzione. 
 
Marco Bianchini 
 
Roma, maggio 2008
 
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