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Capitolo XVII 
I Sistemi Informativi Geografici
 
 
 
 
1. Caratteristiche generali. 
GIS e Sistemi Informativi Territoriali 
 
I GIS (Geographic Information System) sono programmi che integrano dati cartografici e dati alfanumerici, consentendo di costruire complessi sistemi informativi su base territoriale e di svolgere interrogazioni e analisi. Tali strumenti sono utilizzati prevalentemente in ambito geografico e urbanistico per la rappresentazione, l’analisi e la progettazione di vaste aree, oltre che per gestire l’offerta di una serie di servizi su base territoriale a operatori pubblici e privati, ad esempio per mezzo di tecnologia GPS. Nel settore archeologico i GIS si sono imposti prevalentemente nell’ambito delle indagini e della documentazione del territorio. 
Si è visto nel capitolo precedente che i software per la gestione dei database consentono di organizzare e collegare i dati alfanumerici con archivi di immagini — comprendenti tra gli altri anche documenti cartografici - dando modo di navigare agevolmente dagli uni agli altri. Rispetto a questo tipo di programmi la specificità del GIS consiste nel fatto di poter operare un collegamento logico tra i diversi tipi di dati sulla base della loro collocazione spaziale. Le mappe, le foto e i documenti iconografici che vengono visualizzati nelle maschere di un DBMS sono sequenze di immagini che scorrono le une appresso alle altre come le pagine di un album fotografico; nel GIS saranno invece georeferenziate e sovrapponibili e le informazioni alfanumeriche delle tabelle troveranno di conseguenza una proprio riferimento geografico. Ciò costituisce il fondamento delle analisi spaziali, che è una delle principali particolarità delle applicazioni GIS. 
I GIS condividono con i DMBS alcune caratteristiche fondamentali, come la capacità di gestire grandi quantità di dati che sono condivisibili, aggiornabili e incrementabili, oppure la creazione di un sistema di controllo nell’accesso alle informazioni. I software GIS presentano per altro verso un’interfaccia non dissimile da quella dei programmi di grafica la quale costituisce l’ambiente operativo di chi organizza i vari tipi di dati; l’utente interagisce con un’interfaccia diversa, di tipo user-friendly, dove potrà visualizzare le mappe in sovrapposizione e formulare interrogazioni, ma non gli sarà consentito modificare i contenuti.  
Il GIS è un sistema di informazione distribuito dove i dati provengono da una molteplicità di fonti ed è essenziale assicurarne l’interoperabilità. I sistemi GIS sono pertanto sempre più connessi a internet. La rete è dotata di una serie di portali, dove gli utenti possono trovare le informazioni a loro necessarie, i quali sono periodicamente aggiornati e implementati da un gruppo relativamente ristretto di operatori che hanno la facoltà di accedere alla gestione dei geodatabase collaborando in molti casi attraverso il web. Chi elabora un progetto nel GIS trova inoltre sulla rete una serie di webserver da cui può scaricare entità grafiche e dati di ogni tipo che gli consentono di semplificare e accelerare il suo lavoro. 
I GIS condividono molte funzioni con i CAD, come la capacità di visualizzare planimetrie raster e vettoriali georeferenziate, l’editing vettoriale, la costruzione di modelli tridimensionali. Va rimarcato tuttavia che i CAD sono fondamentalmente dei programmi di disegno e di modellazione, mentre i GIS sono applicativi per la gestione di dati di diverso tipo e provenienza. Il disegno vettoriale segue regole proprie nel GIS in funzione del collegamento con le banche dati. I GIS sono inoltre specializzati nella documentazione del territorio per cui dispongono di efficienti comandi per la creazione di modelli digitali del terreno, mentre la costruzione di un modello architettonico viene eseguita in maniera più funzionale all’interno di un CAD. 
Nell’attività di raccolta, di documentazione e di archiviazione dei dati archeologici il GIS rappresenta pertanto un punto di arrivo. Tutti i dati che sono stati precedentemente prodotti ed elaborati con altri tipi di programmi - i rilievi e le ricostruzioni realizzate in CAD, gli archivi alfanumerici e di immagini organizzati con un software di gestione di database — finiranno per confluire e interagire all’interno di un GIS dando vita a un completo sistema informativo su base spaziale. Il termine SIT (Sistema Informativo Territoriale), che nell’uso corrente tende a confondersi e a sovrapporsi con GIS, in realtà è più ampio del primo in quanto indica l’insieme degli apparati, dei metodi e degli strumenti — non solo software — finalizzati alla conoscenza di un delimitato ambito territoriale. Non c’è un limite dimensionale nel contesto da considerare. Si può creare un sistema informativo relativo a una vasta regione, come per un piccolo saggio di scavo o addirittura per una singola sepoltura. In ogni modo i dati andranno organizzati tenendo conto che essi potranno successivamente interagire con altri geodatabase.  
Tra i GIS commerciali il programma largamente più utilizzato è ArcGis della Esri che è una raccolta integrata di software commercializzati separatamente (ArcView, ArcEditor, ArcInfo e altri) che condividono le stesse applicazioni di base e ciascuno dei quali fornisce delle funzionalità aggiuntive. Una relativa diffusione l’hanno trovata anche MapInfo e AutoCad Map3d della Autodesk che offre il vantaggio di una piena integrazione con Autocad. Un altro prodotto che merita di essere menzionato è l’italiano Terra Nova ShArc, ricco di funzioni e di uso relativamente semplice, il quale dimostra un’ottima interoperabiltà sia con Arcgis sia con le elaborazioni CAD. Tra gli open source il più diffuso nel mondo è Grass il quale ha attualmente il suo centro di sviluppo vicino Trento, pur avvalendosi di una rete internazionale di collaboratori. Molte preferenze cadono anche su Quantum Gis, che presenta un‘interfaccia amichevole, di uso semplice e intuitivo. La comunità italiana di utenti e sviluppatori di software GIS liberi fa riferimento al sito Gfoss.it. E’ da segnalare infine una serie di software specializzati nella costruzione di modelli ridimensionali (terraingenerator). Si distinguono tra i prodotti commerciali: Terravista, Creator Terrain Studio, Visual Nature; tra gli open source: OSGdem, Demeter, VTP
Il settore dei software GIS è forse quello che nell’ultimo decennio ha conosciuto il maggiore progresso tecnologico, sviluppando strumenti di modellazione 3d, in particolare per quanto riguarda i modelli digitali del terreno, funzionalità di navigazione in tempo reale, modalità di acquisizione dei dati che provengono dalle più evolute forme di rilevamento del territorio — GPS, laserscanner aereo, telerilevamento — e di interazione con i programmi di processamento di tali dati, infine una piena integrazione con il web. Sono strumenti sicuramente di grande utilità per la ricerca archeologica. Va rimarcato tuttavia che la validità di un Sistema Informativo Territoriale dipende prima di ogni altra cosa dalla metodologia adottata nelle indagini la quale richiede una base conoscitiva la più ampia possibile. Saranno pertanto fondamentali la raccolta e la catalogazione di ogni tipo di documentazione (bibliografica, archivistica, iconografica, ecc.) e l’apporto della ricognizione topografica, diretta, sistematica e capillare del territorio. L’organizzazione del database e il collegamento delle tabelle con la cartografia seguono schemi logici che tengono conto delle necessità della ricerca; la progettazione del GIS non può essere pertanto demandata a personale tecnico ma va assolta dagli stessi archeologi che sono stati protagonisti delle attività di raccolta dei dati e di ricognizione.  
È esemplare in questo senso la metodologia utilizzata per la realizzazione della Carta Archeologica della valle del Sinni, in Basilicata, da cui provengono la maggior parte delle immagini di questo capitolo. Il progetto è stato affidato negli anni 1996-2003 dal CNR, in accordo con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, alla Cattedra di Topografia Antica della Seconda Università di Napoli e alla Cattedra di Topografia dell’Italia antica dell’Università di Bologna. Esso ha consentito di sviluppare un modello operativo di indagine che ha portato a un’approfondita conoscenza di una vasta porzione di territorio della Lucania nella sua stratificazione storica con finalità non solo scientifiche ma anche di tutela, qualificandosi come catasto dei beni culturali da poter utilizzare per la pianificazione territoriale, secondo lo spirito originario della Carta Archeologica d’Italia. Al contempo è stata promossa la formazione di professionisti qualificati in un ambito, quello del Mezzogiorno, ancora carente di tali figure. Il progetto ha coinvolto pertanto un grande numero di operatori che hanno sottoposto a indagine sistematica un territorio di 750 kmq comprendente 31 comuni. Tutti i dati acquisiti, sono stati raccolti su supporti informatici, elaborati con programmi GIS e DBMS e salvati in formati largamente diffusi che ne garantissero l’accesso ad uffici tecnici ed amministrativi; sono state trasferiti su CD e resi navigabili attraverso un’interfaccia GIS per utenti; sono stati inoltre integralmente pubblicati su otto volumi, supplemento dell’Atlante tematico di Topografia antica (ATTA suppl. X, 2000-2003, fasc. 1-8). 
 
2. L’overlay dei tematismi 
 
Una delle più tipiche funzioni del GIS è quella di poter caricare e visualizzare all’interno di un file del programma (definito progetto) una serie di planimetrie (temi o layer), corrispondenti a livelli tematici, le quali sono state georeferenziate rispetto a un comune sistema di coordinate e risultano dunque sovrapponibili. In una finestra del programma (legenda) sono elencati i temi importati (fig. 119). Ciascuno di essi può essere reso visibile oppure nascosto attivando o disattivando il relativo segno di spunta. Ogni layer comprende un raggruppamento di oggetti omogenei (ad esempio l’orografia, l’idrografia, i confini territoriali, le evidenze archeologiche pertinenti a una determinata fase). L’insieme dei tematismi compone la mappa che nel GIS è il principale strumento di informazione a disposizione dell’utente (fig. 117).  
I layer possono essere in formato sia raster che vettoriale. I primi, non essendo trasparenti, non possono essere mostrati insieme. Il raster attivato resta sullo sfondo della mappa e vi si potranno sovrapporre uno o più temi vettoriali. 
Le principali classi di documenti raster identificabili con i layer sono le foto aeree, le immagini satellitari, le carte storiche e catastali acquisite tramite scansione; i dati vettoriali, in molti casi tridimensionali, comprendono punti acquisiti con il rilievo strumentale (GPS o stazione totale) oppure relativi a capisaldi trigonometrici e a postazioni permanenti GPS di cui sono note le coordinate, le elaborazioni delle foto aeree e satellitari e della cartografia raster, carte catastali e carte tematiche (idrografiche, geologiche, orografiche, ecc.) prodotte da enti e istituzioni di vario genere, nuovi tematismi che aggiungono informazioni alla cartografia esistente. 
La capacità di visualizzare i vari temi in sovrapposizione presuppone che essi siano stati georeferenziati rispetto a un comune sistema di coordinate. Le mappe dei GIS sono inserite in uno spazio cartesiano i cui valori di coordinate vengono identificati con quelli del sistema di proiezione geodetico cui si fa riferimento (Gauss-Boaga, UTM, WGS 84). I temi caricati nel progetto vengono allineati a punti vettoriali già georeferenziati in quanto acquisiti con il rilievo oppure perché corrispondono alla posizione di capisaldi trigonometrici noti. La procedura è analoga a quella utilizzata in CAD. I punti di riferimento devono essere visibili sui documenti cartografici. Si associano almeno due coppie di punti omologhi, selezionando ogni volta con un clic del puntatore prima quello visibile sulla carta poi il relativo punto topografico di destinazione (v. Cap. 10, fig. 78). 
La georeferenziazione di una carta raster può utilizzare la medesima procedura appoggiandosi a una planimetria vettoriale già orientata se questa, come è il caso di molte mappe derivate dalla aerofotogrammetria, può considerarsi sufficientemente precisa. In questo caso si potranno selezionare alcuni punti comuni a entrambe, identificabili con spigoli di palazzi o altre emergenze sul territorio (fig. 118). 
Qualche problema lo pone il più delle volte la georeferenziazione della cartografia storica in quanto queste planimetrie sono di solito piuttosto imprecise, cosicché quando vengono allineate a mappe vettoriali recenti realizzate su base aerofotogrammetrica o GPS occorre effettuare molte mediazioni. Se si esegue l’allineamento utilizzando due coppie di punti comuni a entrambe le planimetrie, una volta effettuata la sovrapposizione si troveranno sicuramente numerose parti comuni che non coincidono (fig. 118). Le mappe più grandi converrà dividerle in vari pezzi, anche di forma irregolare, eseguendo il taglio possibilmente attraverso aree con una minore densità di elementi grafici. Le varie porzioni così ottenute saranno allineate alla mappa vettoriale separatamente; in questo modo risulterà minore il valore medio degli scostamenti. Ovviamente tale procedura richiederà per contro molto più tempo.  
Rispetto ai CAD i programmi GIS possiedono di solito un più completo set di comandi dedicati alle procedure di georeferenziazione. Tra questi alcuni servono a operazioni di conversione tra diversi sistemi di coordinate, sia internazionali che locali.  
 
3. Il disegno vettoriale e la topologia 
 
La maggior parte dei GIS svolge funzioni di editing sia raster che vettoriale. Si possono importare file vettoriali realizzati in CAD o con un altro programma GIS, oppure si possono ricalcare i contorni di determinati elementi di un documento raster importato sullo sfondo. Si usa anche sovrapporre alla cartografia raster una serie di simboli grafici vettoriali che segnalano determinate presenze sul territorio (v. Cap. 1, figg. 19, 20).  
Per disegnare si usano fondamentalmente tre elementi grafici che nel linguaggio del GIS sono denominati punti, archi e poligoni, i quali corrispondono rispettivamente ai punti, alle polilinee aperte e alle polilinee chiuse dei disegni eseguiti in CAD (fig. 119). I punti di connessione tra gli archi sono detti nodi. Nella cartografia i punti vengono utilizzati, sotto forma di simboli di vario tipo, per segnalare la presenza di elementi isolati di piccole dimensioni rispetto alla scala adottata. Si usano gli archi per rappresentare oggetti a sviluppo lineare come strade e fiumi, i poligoni per i confini territoriali. 
Le funzioni di disegno di un GIS sono più limitate di quelle di un CAD. Ma il modo in cui vengono graficizzate le varie entità deve seguire regole rigorose. Le linee vettoriali devono connettersi le une alle altre con grande precisione.  
La topologia è un insieme di regole che serve a stabilire in maniera esplicita le relazioni, i rapporti di connessione e di contiguità tra gli elementi del disegno. Due oggetti adiacenti potrebbero essere ad esempio tangenti (cioè avere in comune la linea che li separa), secanti (essere parzialmente sovrapposti) oppure contenente e contenuto (uno dei due sarebbe interamente compreso nell’altro, più grande). Alcuni programmi dispongono di apposite tabelle in cui sono elencati i tipi di oggetti utilizzati nel disegno; l’utente può indicare nei rispettivi campi le regole topologiche a cui dovranno attenersi le singole classi. Ad esempio per fare in modo che le linee vettoriali che definiscono i confini dei territori siano correttamente interpretate come linee di separazione, converrà specificare che tutti gli oggetti della classe “territori” non si intersecano. Inoltre si potrà chiedere al programma di unire tutti gli archi che delimitano le aree chiuse, composti da singoli segmenti o da poligonali aperte, e di trasformali in poligoni, ciascuno dei quali definito da un proprio ID.  
La topologia consente pertanto di definire in maniera univoca il significato di tutti gli elementi del disegno, eliminando ogni ambiguità ed è l’indispensabile presupposto per associare in modo coerente ai singoli oggetti le relative tabelle di attributi. Sulla base delle regole topologiche stabilite dall’utente il programma sarà conseguentemente in grado di riconoscere gli errori nel disegno e di segnalarli oppure di risolverli in maniera automatica. Un caso tipico è quello di un disegno vettoriale importato nel GIS, composto da linee che delimitano delle aree le quali sono state disegnate in maniera approssimativa, senza fare uso dell’osnap, pertanto non si agganciano l’una con l’altra presentandosi come archi penduli (dangle) (fig. 120). L’operatore può stabilire all’interno di un’apposita finestra di dialogo che tutte le linee aperte siano agganciate automaticamente ai nodi più vicini se questi ricadono al di sotto di una determinata distanza. Gli archi penduli che si trovano a una distanza maggiore pertanto non si agganceranno e verranno segnalati come errori: spetterà all’operatore apportare caso per caso le necessarie correzioni. 
 
4. Tabelle e attributi 
 
Una caratteristica fondamentale dei GIS è quella di poter associare agli oggetti di una mappa attributi e informazioni di vario genere (valori numerici, testi, fotografie, altre mappe ecc.). Possono essere assegnate più tabelle con differenti attributi a ogni elemento vettoriale di un disegno. Gli attributi sono generalmente appoggiati a un database relazionale che è esterno al programma e che si presta ad essere periodicamente aggiornato.  
Nel GIS ciascun oggetto di un tema vettoriale si distingue dagli altri per mezzo di un proprio numero identificativo (ID). Mentre si disegna le informazioni geometriche dei singoli oggetti vengono immessi automaticamente in una tabella denominata feature attribute table (FAT). Una FAT comprende i dati relativi a un layer della mappa. Ogni record della tabella corrisponde a una primitiva vettoriale del disegno; i campi riportano i relativi ID, che sono assegnati dal programma con una numerazione progressiva, e una serie di attributi geometrici di default come l’area e il perimetro (fig. 121 n. 2 A). La FAT potrà essere collegata ad altre tabelle che contengono ulteriori informazioni sugli stessi elementi (n. 2 B, C). In queste ultime i dati relativi a ciascun oggetto della mappa dovranno essere preceduti dal rispettivo numero identificativo, il quale sarà immesso dall’operatore e dovrà coincidere ovviamente con quello della FAT . Il collegamento tra tabelle si attua nei GIS con una procedura analoga a quella dei programmi per la gestione dei database: tracciando una linea con il puntatore oppure selezionando il campo ID delle due tabelle da collegare e quindi attivando il comando Link (n. 3).  
Una volta istituito il collegamento, se si seleziona il record di una tabella lo stesso record sarà evidenziato nelle tabelle collegate; contemporaneamente sarà messo in risalto sulla pianta il relativo oggetto grafico. Il rapporto tra elementi grafici e attributi è bidirezionale in quanto selezionando un oggetto del disegno viene visualizzata la relativa tabella, selezionando un record della tabella viene evidenziato sulla pianta l’oggetto relativo. I collegamenti potranno essere sia verticali (uno a molti) che orizzontali (molti a molti). 
Il collegamento istituito viene visualizzato nell’interfaccia per gli utenti attivando il comando Identifica, la cui icona mostra una i compresa in un cerchio; si fa quindi doppio clic su uno degli oggetti della carta per aprire la relativa tabella di attributi (fig. 121 n. 1). Questa, normalmente configurata in forma di maschera, mostrerà una serie di dati relativi all’elemento selezionato; potrà inoltre contenere dei link a file di diverso tipo cui corrisponderanno ulteriori contenuti informativi.  
Il collegamento tra tabelle e oggetti del disegno rende la mappa interattiva. Questa viene esplorata con il puntatore il quale avvicinandosi a un oggetto cui corrisponde un collegamento ipertestuale assumerà la forma di una manina, oppure sarà l’oggetto a evidenziarsi con un espediente grafico. La navigazione può avvenire in senso sia orizzontale, usando il pan, sia verticale, con lo zoom. In quest’ultimo caso si modificherà il livello di dettaglio della mappa, per cui gli oggetti in essa contenuti si “accendono” mentre si procede verso la scala più grande, si “spengono” allontanandosi.  
 
5. Le query e le analisi spaziali  
 
Un’altro aspetto che i GIS hanno in comune con i DMBS è quello di permettere agli utenti la navigazione dei numerosi contenuti informativi del database per mezzo di interrogazioni (query). In entrambi i tipi di programmi le query vengono appositamente progettate, creando delle maschere dedicate. L’interrogazione più elementare è quella che si basa sulla immissione di una o più parole nel campo della ricerca. Altrimenti si utilizzano i cosiddetti operatori logici Booleani i quali consentono varie combinazioni. Sono espressioni introdotte da segni grafici o stringhe di testo che indirizzano la ricerca entro determinati ambiti o che rendono possibili risposte alternative. Per esempio: > (maggiore), < (minore), and (il testo ricercato deve comprendere entrambe le parole), not (esclude il testo ricercato se contiene quella parola). Diversamente si predispongono dei filtri in forma di caselle combinate dove l’interrogazione sarà formulata selezionando fra una rosa di parole predefinite. 
Le ricerche condotte nel GIS, rispetto a quelle dei database alfanumerici, hanno il vantaggio di visualizzare anche dati spaziali. Nella fig. 122a si può ad esempio vedere una query formulata nel GIS della valle del Sinni, per mezzo di due caselle combinate che utilizzate insieme funzionano da operatore Booleano “and”. Si cercano tutte le presenze archeologiche del territorio di Senise “and” del Primo impero. Si intende che sono esclusi tutti gli altri periodi. Viene pertanto visualizzata nella finestra più grande la cartografia del territorio di Senise e i soli simboli dei siti del periodo richiesto. In alto a destra compare la tabella dei siti selezionati, con i relativi ID e altre informazioni essenziali. I simboli grafici della pianta sono poi collegati a maschere contenenti informazioni più approfondite che si mostreranno attivando il comando Identifica e cliccando sui simboli. 
Incrociando i dati spaziali con i dati logici contenuti nelle tabelle, i GIS sono strumenti che consentono di effettuare, attraverso le query, i più svariati tipi di analisi.  
Le analisi statistiche mettono a confronto tutte le informazioni numeriche disponibili. All’interno di una mappa suddivisa in territori, a ciascuno dei quali sono attribuite determinate evidenze archeologiche suddivise per fasi, si può ad esempio formulare una interrogazione affinché siano evidenziate quelle aree che contengono una prevalenza di reperti di un dato periodo storico.  
Le analisi spaziali, le quali vengono svolte preferibilmente su modelli tridimensionali del terreno, sono potenti interrogazioni che servono a mettere a confronto le molteplici informazioni contenute nel database con la morfologia e altre caratteristiche del territorio allo scopo di comprendere determinati eventi. Esse hanno avuto una larga diffusione in ambito archeologico per verificare ipotesi sulle attività umane, il popolamento del territorio, l’aspetto del paesaggio sia naturale che antropico. Le analisi spaziali sono in genere molto complesse in quanto devono tenere in conto una grande quantità di relazioni che potevano intercorrere tra i vari elementi presenti sul territorio, sia naturali (morfologia, vegetazione, clima) che socio-politici (confini, postazioni militari, ecc.). In particolare esse studiano la localizzazione dei siti antichi, le percorrenze, i confini, i luoghi dove potevano svolgersi le attività umane. Alcune simulazioni (modelli predittivi) sono effettuate allo scopo di determinare la localizzazione dei siti archeologici di una data regione in base a un calcolo di probabilità che tiene conto di una serie di fattori altamente condizionanti, legati soprattutto alla morfologia (difendibilità del sito, visibilità sul territorio circostante), le quali possono essere utilizzate per la redazione di una carta del rischio. 
I programmi GIS, elaborando tutte le informazioni disponibili, suddividono il modello del terreno in porzioni di spazio aventi un omogeneo livello di significatività in rapporto alla interrogazione formulata e ne danno una traduzione grafica a colori o per mezzo di linee di contorno. Ad esempio tutti i luoghi in cui l’evento poteva verificarsi saranno colorati in un modo diverso da quelli in cui lo stesso evento non avrebbe potuto verificarsi. Possono darsi inoltre diversi livelli di probabilità cui corrisponderanno nella mappa visualizzata dal programma altrettante gradazioni di colore.  
Due tecniche di simulazione spaziale frequentemente utilizzate in ambito archeologico sono le analisi di visibilità e le analisi della distanza. Con le prime si calcola quali porzioni del territorio rientrano nel campo visivo dell’osservatore situato in un determinato punto del modello. Il GIS considera la morfologia del territorio ma eventualmente anche lo sviluppo della vegetazione se è stata immessa una informazione di questo tipo e restituisce una mappa a due colori, corrispondenti uno alle zone visibili da quel punto, l’altro alle zone invisibili perché nascoste dal rilievo o da altri ostacoli naturali (fig. 122b). Questa simulazione è utile ad esempio per capire il livello di controllo che un determinato insediamento umano poteva esercitare sul territorio circostante e quindi per soppesare il suo valore strategico. 
Le analisi della distanza tengono conto dell’orografia, della presenza di zone più agevolmente transitabili, di ostacoli naturali e artificiali per individuare i percorsi più brevi tra determinati siti selezionati. Il programma visualizza un grafico con delle linee che segnalano i possibili itinerari, in forma non di rette astratte bensì di polilinee che si adattano alle variazioni del territorio. Una simulazione di questo genere può servire a ricostruire la viabilità primitiva la quale seguiva spontaneamente i percorsi naturali più agevoli, oppure per valutare la sfera di influenza che i centri maggiori esercitavano sul territorio circostante (n. 3). 
 
6. I modelli digitali del terreno 
 
Le analisi spaziali presuppongono la costruzione di modelli digitali del terreno tridimensionali e complessi. L’attendibilità dei risultati dipende infatti da una ricostruzione il più possibilmente fedele rispetto al dato originario, che prenda in considerazione molteplici elementi, non solo l’orografia, ma anche presenze architettoniche, fossati, vegetazione e quanto altro. 
Alcuni software mettono a disposizione una serie di strumenti che consentono di costruire i modelli del terreno, definiti DTM (digital terrain model) oppure DEM (digital elevation model) per mezzo di diverse procedure. Le informazioni sulla orografia possono essere acquisite in diversi modi: 
- elaborazione di immagini satellitari o foto aeree con le tecniche della fotogrammetria stereoscopica;  
- vettorializzazione di cartografia a curve di livello (fig. 123 n. 1); 
- acquisizione di una serie di punti sul territorio, rilevati con la stazione totale o con il GPS, in particolare con il metodo cinematico; 
- rilevamento a nuvole di punti con laser scanner aereo; 
- telerilevamento con Radar ad Apertura Sintetica (SAR) montati su aeromobili o satelliti; 
Il DEM sarà sviluppato a partire dai punti acquisiti nel programma i quali saranno collegati da una mesh. Esistono diversi procedimenti di interpolazione che danno luogo a diversi tipi di modelli: 
Il Kriging è un metodo di interpolazione che a partire da punti noti disposti irregolarmente genera superfici a curve di livello. Il sistema è uno dei più realistici e la creazione di spline addolcisce il profilo della superficie. 
Il TIN (Triangulated irregular networks) congiunge i punti quotati disposti irregolarmente con una serie di faccette triangolari. E’ lo stesso metodo di costruzione delle superfici utilizzato dai software di postprocessing delle nuvole di punti ottenute dai rilievi con lo scanner 3d. 
Ci sono poi sistemi di costruzione organizzati su una griglia rettangolare (grid) di valori z organizzati per righe e colonne simili alle celle di un foglio elettronico. In caso di mancanza di valori z per alcune celle si usa un particolare metodo di interpolazione (il Nearest neighbour) che assegna a ogni nodo del reticolo il valore del punto noto più vicino. 
A seconda del tipo di interpolazione utilizzato si ottengono modelli differenti, ciascuno dei quali più adatto a rendere leggibile una determinata caratteristica della superficie. 
I modelli del terreno possono essere completati con l’inserimento di oggetti paesaggio e di manufatti modellati anche con programmi diversi (fig. 123 nn. 2, 3). 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
figura 117 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
figura 118 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
figura 119 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
figura 120 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
figura 121 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
figura 122a 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
figura 122b 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
figura 123 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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