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Capitolo II 
I metodi del rilievo
 
 
 
1. Rilievo diretto e indiretto 
 
Si distinguono due tecniche fondamentali: il rilievo diretto e il rilievo indiretto. Con la prima definizione s’intende che il rilievo comporta operazioni di misurazione a diretto contatto con i manufatti da documentare, e quindi immediatamente verificabili nei loro valori metrici; si usano strumenti semplici che vengono stesi lungo le superfici degli oggetti da riprodurre o nelle loro vicinanze per misurare lunghezze e per impostare allineamenti (fettucce metriche, fili a piombo, cordini, livelle). Le misure possono essere annotate su un foglio di carta, insieme a uno schizzo approssimativo del manufatto da cui si ricaverà la rappresentazione esatta in un secondo momento. In alternativa il metodo si presta anche, come è uso nel rilievo archeologico, a eseguire il disegno in scala e in proiezione ortogonale direttamente sul campo, utilizzando un piano d’appoggio e alcuni strumenti di disegno come matita, gomma, compasso, righe, squadre. Uno dei vantaggi di questo sistema è che eventuali errori di misurazione possono essere accertati in corso d’opera e quindi vi si potrà subito porre rimedio.  
Questa disciplina si afferma durante il Rinascimento con i rilievi dei monumenti romani eseguiti da architetti, artisti ed eruditi e troverà il suo principale campo di applicazione in ambito architettonico, per la documentazione degli edifici storici, divenendo quindi materia di insegnamento per gli studenti di architettura. Negli anni settanta del secolo scorso, sul solco di questa lunga tradizione, l’insegnamento del rilievo diretto entra finalmente nelle facoltà di lettere per adeguarsi alla metodologia dello scavo archeologico e a una più idonea lettura degli edifici antichi, dando corpo a una scienza nuova. 
Con la definizione di rilievo indiretto si intende invece che le misurazioni vengono effettuate con degli strumenti ottici, meccanici o informatici di grande precisione le quali comportano una serie di calcoli più o meno complessi al fine di ottenere una traduzione grafica degli oggetti rilevati all’interno di un sistema di coordinate spaziali. 
Questa tecnica si è sviluppata in Europa a partire dal XVII secolo nell’ambito del rilevamento del territorio. Si utilizzava nei primi tempi il goniometro, sostituto molto tempo dopo dal teodolite ottico-meccanico, strumenti che effettuano misurazioni di angoli, anziché di distanze, cui conseguono calcoli trigonometrici per la determinazione delle coordinate dei punti rilevati. La misurazione di un punto avveniva con il metodo delle intersezioni in avanti che richiedeva letture angolari da due differenti stazioni. Negli ultimi decenni del secolo scorso sono stati applicati ai teodoliti i distanziometri elettronici per mezzo dei quali si può associare la misura della distanza alla lettura angolare, consentendo in questo modo il posizionamento di un punto ignoto a partire da una sola stazione, la qual cosa ha contribuito a velocizzare molto il lavoro. L’ultima evoluzione del teodolite è la stazione totale la quale è corredata di un computer che restituisce in tempo reale le coordinate spaziali dei punti rilevati. Nel secolo scorso l’impiego del teodolite ha cominciato a diffondersi nel campo del rilievo architettonico e poi anche in quello archeologico, soprattutto a partire dagli anni ottanta grazie alla introduzione dei distanziometri elettronici, affiancando il rilievo diretto. Nell’ambito del rilievo del territorio si è invece recentemente affermato il GPS, sistema che consente di determinare le coordinate spaziali di un punto a terra effettuando delle trilaterazioni con i satelliti. 
Un altro importante ramo del rilievo indiretto è la fotogrammetria, procedura che consente di ortorettificare le immagini fotografiche riferendole a un sistema cartesiano in modo da ricavarne rappresentazioni grafiche in proiezione ortogonale. Tale metodologia ha avuto grande sviluppo a partire dall’inizio del novecento prima di tutto nell’ambito del rilevamento del territorio per mezzo di riprese fotografiche da aeromobili (aerofotogrammetria). In seguito ha trovato sempre maggiori applicazioni nel rilievo delle facciate di edifici storici (fotogrammetria terrestre). La più recente invenzione è infine quella del laserscanner, strumento che effettua misurazioni automatiche di milioni di punti che rientrano nel suo campo visivo restituendo delle forme tridimensionali all’interno di file vettoriali.  
Gli sviluppi degli ultimi anni sono stati quelli di una crescente integrazione tra le varie tecniche del rilievo indiretto, particolarmente nel campo della documentazione dei beni culturali, le quali trovano una affiatata complementarità in una gerarchica suddivisione di compiti che appare coerente con i fondamenti metodologici delle procedure di misurazione.  
Alla stazione totale, e in ambito territoriale al GPS, è infatti assegnato il compito di creare delle reti di inquadramento di vertici topografici organizzati gerarchicamente in capisaldi primari e secondari, con una precisione via via decrescente — ma si ragiona su valori molto piccoli ben al di sotto dei limiti di tolleranza stabiliti — cui è collegata in ultimo luogo una maglia di punti particolari, contrassegnati da apposite marche, che costituiscono i riferimenti visivi per le riprese fotogrammetriche e con il laserscanner. A questi ultimi due tipi di strumentazioni spetta pertanto il ruolo di documentare il dettaglio dei manufatti sostituendosi totalmente al rilievo diretto. Le due tecniche tendono verso la massima reciproca integrazione in quanto la fotogrammetria stereoscopica viene utilizzata per rivestire le nuvole di punti tridimensionali ottenute con il laserscanner spalmandovi sopra le immagini fotografiche ortorettificate.  
Le restituzioni sono riversate nel computer per essere elaborate da appositi software in grado di realizzare modelli tridimensionali e applicazioni di realtà virtuale. A parte la prima fase del lavoro, destinata al rilievo topografico e alle riprese, si potrà evitare per il seguito qualunque contatto fisico con l’oggetto del rilievo. Ogni altra operazione verrà svolta. in laboratorio. Tutto il sistema trasmette una sensazione di grande efficienza. 
Eppure, bisogna dirlo, i risultati spesso, soprattutto nel contesto della documentazione archeologica, sono assai deludenti. Le elaborazioni definitive di questi rilievi, stampate su carta o visualizzate nel loro dettaglio sullo schermo del computer, non corrispondono neanche lontanamente, troppo volte, ai presupposti di esattezza e di leggibilità dell’oggetto rilevato che abbiamo indicato nel capitolo precedente. Questo tipo di prodotti sono di grande efficacia per divulgare l’immagine di luoghi e manufatti dell’antichità ma non hanno utilità scientifica in quanto vengono meno a uno dei presupposti fondamentali del rilievo: l’interpretazione. Il rilievo non è una riproduzione fotografica della realtà. Il suo ruolo è quello di selezionare tra gli infinti segni che compongono l’immagine di un oggetto quelli che definiscono la sua morfologia e le sue trasformazioni nel tempo e di darne la rappresentazione grafica più adeguata.  
Questo compito in alcuni casi è relativamente semplice. La restituzione della facciata di un palazzo ottocentesco comprenderà una serie di linee che corrispondono a profili di elementi architettonici i quali formano una serie di sporgenze più o meno profonde (balconi, cornici, bugnati) ben evidenti e con poche situazioni di ambiguità. La lettura dei manufatti archeologici è invece molto più complicata, perché nella maggior parte dei casi non sono facilmente riconoscibili né i contorni dei profili che definiscono la forma dell’oggetto né le tracce delle sue modificazioni. Ad esempio lo spigolo della cornice di pietra di una finestra, asportata in un’epoca successiva, può aver lasciato sulla cresta del muro in rovina una impronta lunga pochi centimetri che si riconosce a mala pena tra le asperità della struttura in opera cementizia. Un altro caso può essere quello della ripresa della costruzione di un muro, a seguito di una interruzione dei lavori del cantiere, la quale è testimoniata da una sottile linea di cesura appena percepibile in uno dei letti orizzontali della malta, assai meno evidente di altri solchi che si sono prodotti tra i filari della cortina a causa degli agenti atmosferici. In queste situazioni la funzione del rilievo è dunque proprio quella di riuscire a individuare le tracce significative per metterle in evidenza nel disegno anche a costo di qualche forzatura. L’impronta della cornice della finestra sarà segnata con un tratto più marcato per farla risaltare rispetto al contorno degli scapoli del conglomerato; allo stesso modo la ripresa di cantiere dovrà farsi vedere di più degli altri giunti orizzontali della parete.  
Le immagini fotografiche anche ad alta risoluzione, così come le nuvole dei punti ottenute con il laserscanner, molte volte non sono in grado di cogliere ciò che è necessario segnalare. La scarsa qualità di molte restituzioni ottenute con questi mezzi sono dovute alla incapacità di leggere le strutture antiche da parte di coloro che adoperano tali strumenti, i quali nella maggior parte dei casi non sono archeologi ma dei meri tecnici informatici, ma anche perché si pretende di svolgere tutto il procedimento in laboratorio e si considera un progresso il non doversi più sporcare le scarpe con la terra dei cantieri. Invece bisogna stare nel monumento, camminarci dentro, toccarlo, esaminare i materiali rompendoli se è necessario, guardarsi intorno, ragionare. Per capire occorre conoscere l’architettura e i materiali dell’antichità. L’archeologo trova la traccia importante in mezzo agli infiniti segni che lo circondano perché sa dove deve cercarla.  
Il rilievo diretto è un passaggio fondamentale e ineliminabile nella documentazione dei resti antichi, rispetto al quale non possono esserci scorciatoie. Ci dà modo di renderci immediatamente conto dei nostri errori di misurazione e di interpretazione e di porvi rimedio verificando sul campo le possibili alternative. Ma soprattutto, come avvertiva Giuliani trent’anni fa, è un metodo che ci consente di vivere dentro il monumento e di familiarizzare con esso; toccarlo e osservarlo in ogni sua parte mentre si prendono le misure è il modo più efficace per fare la sua conoscenza, capire i problemi, cercare le soluzioni. 
Il rilievo diretto dunque deve essere la tecnica protagonista della documentazione archeologica. Il rilievo indiretto non deve sostituirlo, ma deve essere messo al suo servizio. Intervenendo su edifici e aree archeologiche è molto utile, anzi potremmo dire assolutamente necessario, realizzare delle reti di inquadramento di vertici trigonometrici, Questi capisaldi saranno poi utilizzati per battere una più fitta maglia di punti particolari che serviranno da appoggio alle misurazioni del rilievo diretto, con le modalità che vedremo nei prossimi capitoli. In una fase successiva i disegni a matita realizzati sul campo con gli strumenti tradizionali del rilievo diretto potranno essere informatizzati ed elaborati in qualunque forma. 
La fotogrammetria e il rilievo con laser scanner danno sicuramente un contributo fondamentale nel rilievo del territorio, integrati con il gps, e in molti casi anche per quanto riguarda l’architettura storica postantica, le sculture e vari manufatti artistici. Per la documentazione archeologica di dettaglio, tenendo conto del livello di analisi che viene richiesto in questo ambito, francamente ricorrerei a questi strumenti con la massima cautela, valutando se sussistano tutte le condizioni affinché sia garantito il risultato richiesto e se, a parità di risultato, sia davvero la scelta più economica rispetto al rilievo diretto. 
 
2. I punti del rilievo e i sistemi di misurazione 
 
I punti da misurare devono essere precisi e riconoscibili. Nella prassi del rilievo si usa materializzarli, cioè farli corrispondere ad oggetti ben identificabili, sistemati appositamente in loco, che ne fissano inequivocabilmente la posizione. I punti a terra che costituiscono i vertici di una rete d’inquadramento topografica vengono materializzati con chiodi speciali, resistenti e durevoli (v. Cap. 4, fig. 35a). I punti di riferimento per la fotogrammetria e i rilievi con i laserscanner 3d sono segnalati con marche metalliche bicolori a croce, ben visibili nei fotogrammi e nei file delle nuvole dei punti. I punti particolari da usare come base per le misurazioni nel rilievo archeologico diretto possono essere indicati con chiodi, croci disegnate col pennarello, etichette adesive. Nel rilievo diretto di edifici integri, com’è nella prassi del rilievo architettonico, i punti particolari invece di essere materializzati vengono fatti coincidere con angoli e spigoli vivi del manufatto. 
Le misurazioni più importanti nel rilievo danno luogo a uno schema triangolare, in cui la base (base di riferimento) è costituita dal segmento che unisce i due punti noti da cui viene effettuata la misurazione, il vertice corrisponde al punto incognito da determinare (fig. 21a). La posizione di quest’ultimo viene trovata tramite l’intersezione delle misure degli angoli, oppure con l’intersezione delle distanze, oppure associando alle misure degli angoli quella della distanza. Nella pratica tradizionale del rilievo indiretto, con il goniometro e in seguito il teodolite, le misurazioni venivano effettuate con il metodo cosiddetto delle intersezioni in avanti che comportava letture angolari da entrambi i punti noti verso il punto ignoto, posizionando lo strumento topografico prima sull’uno e poi sull’altro punto. L’associazione del distanziometro elettronico al teodolite consente di effettuare al tempo stesso la misura angolare e quella della distanza per cui la posizione del punto incognito può essere determinata posizionando lo strumento topografico su un solo punto noto del braccio di riferimento; sarà in ogni caso sempre necessario effettuare con lo strumento una lettura di angoli e distanza sull’altro punto noto (orientamento). 
Nel rilievo diretto la posizione del vertice del triangolo viene invece individuata con la intersezione delle distanze prese tra ciascuno dei due punti noti della base di riferimento e il punto ignoto. Questo sistema è definito trilaterazione in quanto comporta la misurazione non degli angoli bensì dei lati del triangolo. La trilaterazione è a fondamento anche del GPS, sistema in cui, utilizzando le onde radio dei satelliti, il punto incognito situato a terra viene determinato tramite la misurazione delle distanze che separano i satelliti (punti noti anche se mobili) da un ricevitore del segnale collocato sul punto. 
A garanzia di una maggiore precisione del rilievo la posizione del punto ignoto può essere determinata anche da tre o più punti noti se sussistono le condizioni di reciproca visibilità (fig. 21b). In tal caso il punto incognito costituirà il vertice comune a una serie di triangoli adiacenti. Le triangolazioni o le trilaterazioni multiple verso uno stesso punto hanno il vantaggio di consentire un controllo reciproco che consente di individuare gli errori ed eventualmente di redistribuirli (compensazione). Le trilaterazioni multiple sono particolarmente necessarie nel GPS, dove le misurazioni sono accompagnate da una serie di incognite per cui si richiede la stima della distanze tra il ricevitore e un minimo di quattro satelliti. 
Ovviamente una stessa base di riferimento può essere sfruttata per misurare una pluralità di punti ignoti situati nell’intorno. Ne conseguiranno svariati triangoli aventi una base comune e vertici diversi. Gli errori potranno in questo caso essere controllati e compensati misurando le distanze che risultano tra i punti nuovi (fig. 21b). 
Ogni punto nuovo, una volta misurato, si trasforma a sua volta in un punto noto e potrà essere utilizzato come punto di partenza per successive misurazioni. 
Un aspetto fondamentale distingue le misurazioni effettuate con gli strumenti del rilievo indiretto da quelle del rilievo diretto: nel primo caso si agisce in uno spazio tridimensionale. Le distanze sono inclinate e gli angoli sono letti rispetto sia a un asse orizzontale (angoli orizzontali) sia a un asse verticale (angoli verticali). I punti del rilievo vengono quindi restituiti all’interno di un sistema di coordinate spaziali x, y, z. Le trilaterazioni del rilievo diretto operano invece su un piano orizzontale bidimensionale su cui vengono proiettati tutti i punti misurati. Il rilievo degli elevati viene svolto in una seconda fase, riportando su un piano verticale i punti già posizionati in pianta. 
Nel rilievo diretto oltre alle trilaterazioni si impiegano, in particolare per le brevi distanze, sistemi di misurazione più semplici basati su assi ortogonali (metodo delle ascisse e delle ordinate, coltellazioni) che esamineremo a suo luogo. 
 
3. Gli errori  
 
Tutte le misurazioni comportano un errore, anche se in molti casi sarà enormemente piccolo. Possiamo distinguere due tipi di errori: 
a) errori sistematici. Sono quelli che influiscono sul risultato della misura sempre nello stesso senso e non possono quindi essere compensati facendo la media di più misurazioni. Sono tali ad esempio gli errori strumentali che dipendono dalle caratteristiche costruttive degli strumenti di misura. In alcuni casi sono facilmente riconoscibili e presentano un valore costante che può essere corretto (ad esempio una fettuccia metrica che si è deformata allungandosi di un centimetro); 
b) errori accidentali. Sono generati dall’incertezza che consegue a un’operazione di misura a causa di molteplici fattori. Errori di lettura o di calcolo a volte determinano uno spostamento macroscopico del punto misurato rispetto alla sua posizione reale che sarà facilmente riconoscibile (errori grossolani), quindi vi si potrà porre rimedio effettuando una nuova misurazione. Altri fattori possono determinare invece errori piccoli e quindi meno riconoscibili. Uno dei casi più frequenti è quello della incertezza della mano dell’operatore nel posizionare lo strumento di misura sul punto da determinare (il filo a piombo, lo zero del metro, la punta della palina con il prisma riflettente). 
Per evitare o contenere entro margini accettabili questo secondo tipo di errori, nel rispetto dei limiti di tolleranza stabiliti in relazione alle scala adottate (cfr. Cap.1), vanno applicati alcuni accorgimenti. Il primo, che è tipico del rilievo diretto, è quello di prendere sempre una misura di controllo, come si è accennato nel paragrafo precedente, tra coppie di punti nuovi misurati a partire dai punti noti. Se da A e da B si determina la posizione di C e D, è bene controllare subito dopo la distanza tra C e D (fig. 21b). A seconda delle dimensioni dell’errore si deciderà se ripetere le operazioni di misurazioni oppure se attuare una compensazione tra i punti nuovi. Questo tipo di verifiche non sono invece possibili in fase di rilievo indiretto, ma eventualmente solo nella successiva fase di calcolo e di restituzione delle coordinate dei punti. Durante l’elaborazione dei dati si eseguono controlli in genere solo per i punti principali, come i vertici delle reti di inquadramento i quali sono stati misurati più volte o da più postazioni. Per quanto riguarda i punti particolari un espediente è quello di battere di tanto in tanto uno stesso punto da due diverse stazioni. Ai punti ribattuti corrisponderanno nel file topografico due diversi segni grafici i quali se il rilievo è preciso dovranno sovrapporsi. Dall’entità dello scostamento tra i due segni sarà quantificabile l’errore. Inoltre nel caso in cui il rilievo indiretto verrà in un secondo momento completato con il rilievo diretto, è buona regola controllare volta per volta le distanze tra i vari punti topografici stampati sul foglio, senza mai darli per scontati.  
Un altro metodo, che si adopera sempre per il posizionamento dei punti principali, è quello di effettuare la misurazione del punto ignoto a partire da tre o più punti noti (sistema tipico del GPS che richiede almeno quattro satelliti) oppure ripetendo più volte le misurazioni tra gli stessi punti, a volte anche procedendo in senso inverso (tipico delle poligonali (cfr. Cap. 4). Queste procedure consentono di effettuare controlli incrociati e di redistribuire gli errori.  
Un terzo accorgimento è quello di evitare per quanto è possibile l’accumulo delle misure. Nelle misurazioni lineari gli errori accidentali tendono statisticamente a compensarsi. Possiamo dare il caso per esempio di quattro punti C, D, E, F situati sulla faccia di un muro tra i due punti noti A e B che corrispondono agli angoli (fig. 22a). Muovendosi lungo l’allineamento A-B si possono misurare in successione i quattro segmenti AC, CD, DE, EF. Se a ogni misurazione corrisponde un errore medio di un centimetro non necessariamente il punto F, misurato per ultimo, risulterà spostato di quattro centimetri rispetto ad A, perché gli errori potranno presentare segno diverso. In ogni caso non possiamo prevedere se essi si compensino totalmente, parzialmente oppure — caso raro ma possibile — siano tutti dello stesso segno. Sarà in ogni caso più sicuro misurare ciascuno dei quattro punti, lungo l’allineamento A-B, ogni volta a partire da A (AC, AD, AE, AF), oppure da B (BF, BE, BD, BC). 
Effettuando una sequenza di misurazioni ci sono assai minori probabilità di compensazione degli errori se la posizione dei punti nuovi non viene determinata lungo un allineamento bensì per mezzo di trilaterazioni o triangolazioni, le quali comportano spostamenti pluridirezionali. In questo caso l’accumulo delle misurazioni può determinare facilmente una propagazione degli errori e andrà quindi limitato il più possibile. Poniamo l’esempio di un edificio in rovina costituto da una fila di cinque vani; i muri si conservano per un’altezza di poche decine di centimetri per cui tutti i punti situati nei vari ambienti sono reciprocamente visibili e misurabili (fig. 22b). Consideriamo nella prima ipotesi di iniziare il rilievo dall’ambiente A, che è situato a una delle due estremità del fabbricato, per cui da due punti 1 e 2 situati in A, determiniamo la posizione dei punti 3 e 4 situati in B, poi da questi i punti 5 e 6 nell’ambiente C e così via fino ad arrivare ai punti 9 e 10 in E. Questa soluzione determina quattro sessioni di misura a partire da 1 e 2. Mettiamo che ogni operazione di misurazione comporti mediamente un errore di un centimetro. In questo modo le probabilità di cumulare un errore che si avvicini ai quattro centimetri nel posizionamento dei punti 9 e 10 sono molto elevate. In un caso del genere è più sicuro cominciare il rilievo dai punti 5 e 6 dell’ambiente centrale C e muoversi con due serie di misurazioni in direzione di 1 e 2 e poi con altre due sequenze, sempre a partire dai due punti centrali, in direzione opposta verso 9 e 10. In tal modo sarebbe possibile contenere l’errore entro i due centimetri in tutto il fabbricato. Ma la soluzione migliore sarebbe senz’altro quella di misurare tutti i punti in un’unica sessione a partire ad esempio dai punti 5 e 6 oppure anche da due punti molto distanti, se reciprocamente visibili e misurabili, come 1 e 10. In questo caso saremmo sicuri di contenere tutti gli errori sotto il centimetro. 
La quantità dell’errore è determinata anche da procedure scorrette nelle misurazioni (basi di riferimento molto corte, trilaterazioni che determinano angoli troppo acuti o troppo aperti) (v. Cap. 3, fig. 24d). Influisce ovviamente il livello di precisione degli strumenti utilizzati, soprattutto nel rilievo indiretto.  
Rispetto al rilievo diretto quello indiretto risulta molto più preciso e funzionale nelle lunghe distanze, in presenza di accentuati dislivelli e nella creazione di reti d’inquadramento, più in generale in tutte le misurazioni che evitano il ricorso alle trilaterazioni con la fettuccia metrica. L’efficienza del rilievo diretto aumenta nel corto raggio, avendo dalla sua il vantaggio della verifica immediata del risultato. E’ sicuramente più pratico e veloce del rilievo indiretto per la misurazione di punti disposti lungo un allineamento. 
 
4. Le reti di inquadramento 
 
In linea generale conviene sempre impostare il rilievo a partire da una coppia di punti noti e reciprocamente visibili la cui interdistanza (base di riferimento) è tale da abbracciare la più ampia area possibile in modo da ridurre al minimo la sequenza delle misurazioni. In molti casi tuttavia non si verificano le condizioni per poter inquadrare da due soli punti tutta l’area da rilevare. Nel rilievo architettonico i muri frappongono numerosi ostacoli visivi tra un punto e l’altro, nel rilievo del territorio la visibilità è limitata sulle lunghe distanze a causa dell’orografia, della curvatura del globo e per la rifrazione dell’aria. In questi casi sarà necessario creare una rete di punti (detti anche vertici, capisaldi, stazioni) che assicuri la copertura di tutta l’area da rilevare.  
Per limitare al massimo il fenomeno della propagazione degli errori, nella realizzazione di una rete di inquadramento si tiene conto di alcune regole fondamentali: 
a) A seconda delle dimensioni e dell’articolazione del contesto da rilevare i punti vengono gerarchicamente distribuiti in più livelli (o ordini) che scandiscono la sequenza delle sessioni di misura, cui corrisponde di conseguenza un livello di precisione decrescente insieme a un progressivo infittimento. Dai punti del primo ordine vengono pertanto misurati quelli del secondo ordine e da questi ultimi eventualmente quelli di un terzo ordine e così via. All’ultimo livello della gerarchia stanno i punti particolari che servono per il rilievo dei dettagli. 
b) I vertici delle reti create ai singoli livelli, e in particolare quelli del primo ordine, devono essere nel minor numero possibile, saldamente collegati tra loro utilizzando schemi che consentano controlli incrociati e la redistribuzione degli errori (compensazione). 
Limitare al massimo il numero dei vertici pertinenti allo stesso ordine, cercando di ottenere le interdistanze più lunghe tra i punti in rapporto alle condizioni di visibilità, ha il vantaggio di diminuire la sequenza di misurazioni necessarie per la realizzazione della rete e di conseguenza la propagazione degli errori in senso orizzontale. Al tempo stesso però bisogna cercare di riuscire a coprire capillarmente tutta l’area da rilevare contenendo anche l’accumulo delle misurazioni in senso verticale, cioè limitando per quanto è possibile il numero dei livelli, in modo da evitare una eccessiva propagazione dell’errore a scendere dai vertici primari verso i punti particolari.  
Nel rilievo del territorio lo schema più utilizzato è quello delle triangolazioni. Il territorio da inquadrare viene coperto da una rete di triangoli la lunghezza dei cui lati è portata all’estremo limite consentito per garantire un adeguato livello di precisione (raramente oltre i settanta chilometri nella rete di I ordine dell’IGM) (v. Cap. 5, fig. 43). L’infittimento con le reti secondarie avviene all’interno dei singoli triangoli.  
Nel rilievo architettonico risulta più utile invece lo schema delle poligonali che sono catene di punti, ciascuno dei quali è visibile dal punto precedente e da quello seguente, le quali circondano o attraversano tutta l’area da rilevare, aggirando gli ostacoli visivi dei diaframmi murari (v. Cap. 4, fig. 37). A una poligonale principale possono collegarsi delle poligonali secondarie o eventuali vertici secondari isolati che serviranno per il rilievo dei punti particolari.  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
figura 21a 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
figura 21b 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
figura 22a 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
figura 22b 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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