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Una volta i rilievi a matita eseguiti in cantiere venivano “lucidati” con la penna a china su fogli trasparenti definitivi. Era necessaria un’apposita attrezzatura comprendente un set di penne con punte di diverso spessore (da 0,1 a 0,8 mm in genere), righe, squadre; gli errori si cancellavano sulla carta lucida con le lamette da barba; sul poliestere si utilizzavano delle gomme speciali di colore giallo che si strofinavano energicamente tra le fessure di una mascherina di metallo che proteggeva il resto del disegno. Le scritte si facevano con i trasferibili e le campiture con i retini, elementi adesivi destinati con il tempo a rompersi e a staccarsi dai fogli originali. Oppure si scriveva con i normografi, piastrine di plastica con dei solchi che riproducevano le forme di numeri, lettere e altri simboli grafici e che guidavano la punta del pennino. Del disegno originale si facevano poi varie copie cianografiche.
Oggi un disegno a matita può essere trasformato in un’immagine digitale con uno scanner e quindi completamente rielaborato al computer. Molti professionisti si trovano ancora a loro agio con la penna a china. Questa soluzione è tuttora accettabile se garantisce una migliore qualità del risultato finale. In ogni caso il vantaggio del computer sarà quello di poter acquisire tramite scansione questi disegni, in modo da completarli con un programma di grafica mettendovi le scritte e i vari simboli; il CAD si rivelerà particolarmente utile per allineare e georeferenziare le varie planimetrie. Si eviteranno almeno i due tormenti peggiori del vecchio metodo di lavoro: da una parte i normografi, dall’altra gli enormi tavoli su cui andavano stesi numerosi fogli da accostare e sovrapporre, riempiti di oggetti pesanti per impedire che si arrotolassero.
L’acquisizione con lo scanner trasforma il disegno originale in un immagine raster che è composta da un reticolo di punti quadrati detti pixel. Questa può essere elaborata e trasformata mantenendo le sue caratteristiche raster, oppure per mezzo di un altro tipo di programma può essere convertita in un insieme di vettori che sono primitive geometriche definite da coordinate cartesiane. La grafica raster e la grafica vettoriale costituiscono i due filoni fondamentali della grafica digitale (dall’inglese digit che significa cifra e quindi numero): in entrambi i casi infatti le immagini sono descritte da valori numerici. Per il resto le immagini raster e quelle vettoriali hanno caratteristiche completamente diverse e vengono gestite da differenti tipi di programmi.
La trasformazione dei rilievi in immagini digitali, e in modo particolare in formati vettoriali, è una esigenza ormai irrinunciabile in quanto questo è l’unico modo efficiente per gestire l’archiviazione, la diffusione e lo scambio dei dati e che consente ogni forma di rielaborazione, comprese le ricostruzioni tridimensionali.
L’attrezzatura hardware richiesta per le elaborazioni al computer ha oggi costi più che accessibili (fig. 58). Per la grafica bidimensionale, sia raster che vettoriale, funziona bene qualunque computer portatile o fisso di tipo basico dell’ultima generazione. Qualche prestazione in più è richiesta per la modellazione tridimensionale, in particolare per il rendering e le animazioni in tempo reale. In questo caso sono consigliabili almeno 2GB di RAM e una scheda video con accelerazione 3d. Alcune case produttrici di software forniscono su internet una lista di schede video consigliate per i loro programmi.
Lo scanner è una periferica che acquisisce per mezzo di un sensore ottico i disegni e le fotografie trasformandoli in immagini raster. Gli scanner piccoli ad uso domestico sono dotati di un piano di vetro (letto piano) su cui viene appoggiato il foglio da riprodurre. Quelli più grandi di tipo professionale hanno forma a tamburo. La stampa dei fogli piccoli viene gestita dalle comuni stampanti laser o a getto d’inchiostro; i plotter consentono di stampare fogli grandi su rullo con un’apertura massima di 914 mm pari a quella dell’A0+. Sia con la stampante che con lo scanner fa comodo riuscire a gestire in proprio almeno fino al formato A3. Si trovano oggi ottimi scanner di queste dimensioni a prezzi commerciali. Qualcosa di più si spende per una stampante dello stesso formato. I costi diventano invece molto elevati per i plotter e gli scanner grandi. In linea di massima chi lavora nell’ambito della documentazione archeologica non ha convenienza ad acquistare ingombranti macchinari di questo tipo. Si consideri ad esempio che la documentazione di uno scavo è fatta in larga parte di fogli piccoli, che corrispondono alle dimensioni medie di piante di strato e sezioni cumulative, tutte gestibili in A3. Le poche tavole grandi si potrà farle scansionare e stampare in un’eliografia.
Per disegnare al computer serve un mouse sensibile, di tipo ottico o laser, oppure una trackball che è un dispositivo di puntamento simile al mouse, comprendente una sfera, azionata dalla mano, la quale ruota liberamente all’interno di una cavità dotata di sensori. Per il disegno a mano libera è ancora più indicata la tavoletta grafica, costituita da uno strumento a forma di penna che si impugna come una matita vera, il quale viene mosso sopra una tavoletta comprendente un riquadro rettangolare con dei sensori e che riproduce in scala la forma dello schermo. Le tavolette grafiche più grandi erano state concepite per appoggiarvi un foglio con un disegno da ricalcare con la penna digitale. Questo tipo di impiego è in realtà poco pratico ed è stato superato dal procedimento di scansione, per cui il disegno originale da elaborare viene visualizzato direttamente nel monitor. La tavoletta grafica va utilizzata pertanto come un mouse: muovendo la penna con la mano viene spostato il puntatore (o cursore) in forma di freccia o di croce, visibile sullo schermo, il quale indica la posizione esatta del punto in cui viene dato l’input del comando. Il vantaggio di questo strumento è quello di consentire spostamenti del cursore assolutamente precisi con un movimento naturale della mano; l’input viene dato con una leggera pressione della penna sul piano della tavoletta. Per questo tipo di impiego vanno benissimo anche le tavolette digitali più piccole ed economiche.
Per elaborare i dati della documentazione archeologica al computer servono pochi programmi appartenenti a ben definite tipologie di cui si darà conto in dettaglio nei prossimi capitoli. Nel campo della grafica basteranno un programma che gestisce le immagini raster e un CAD per il disegno vettoriale; questo secondo tipo di software consente anche la costruzione di oggetti tridimensionali. Chi realizza archivi alfanumerici, strutturati a schede, avrà invece bisogno di un programma di gestione di basi di dati. Per l’amministrazione della cartografia, la documentazione del territorio e la costruzione di banche dati che fanno interagire informazioni alfanumeriche con la cartografia si usano i GIS. Queste sono le classi fondamentali. A latere ci sono poi numerosi programmi che servono a gestire alcune modalità della diffusione dei dati, come quelli che consentono di realizzare pagine web, DVD e prodotti divulgativi di vario tipo. Ma l’interscambio dei dati a livello universale, per quanto riguarda almeno la documentazione archeologica, si basa sulle informazioni prodotte dalle suddette famiglie di applicativi.
I CAD e i GIS hanno molte funzioni in comune. I primi nascono come programmi di disegno, i secondi sono in primo luogo delle banche di dati cartografici, ma con il passare del tempo questi due tipi di programmi si vanno dotando di sempre nuovi comandi con inevitabili sovrapposizioni. Entrambi gestiscono la cartografia raster e vettoriale, consentono il disegno vettoriale e la modellazione 3d, possono associare tabelle e altri collegamenti ipertestuali agli oggetti del disegno. Sono però ancora separati da diversi ambiti di applicazione cui corrispondono diverse tipologie di utenti. I “caddisti”, largamente maggioritari, lavorano nel campo della progettazione meccanica, ingegneristica, edilizia: il CAD è tradizionalmente il programma dei geometri e degli architetti ed è pertanto anche quello utilizzato per il rilievo architettonico. Gli utenti del GIS operano nel campo della documentazione del territorio in tutte le discipline, non solo in archeologia.
L’inarrestabile processo di “sincretismo” tra i vari programmi è provocato anche dalla sempre più larga diffusione dei plugin i quali sono dei software non autonomi che vengono aggiunti al programma principale per mezzo di una rapida installazione allo scopo di ampliarne le funzioni. Ne circolano su internet a centinaia, alcuni a pagamento, altri liberamente disponibili, sviluppati da una pluralità di operatori in ogni parte del mondo; moltissimi sono destinati ai programmi di grafica e sono in grado di soddisfare ogni esigenza di disegno e di progettazione, trasformando il software principale in un vero “tuttofare”. Il termine plugin, che è anche sinonimo di add-in, non va confuso con applicativo che si riferisce invece a qualunque programma che non è compreso nel sistema operativo, ma viene installato dall’utente per svolgere compiti specifici. Quindi, a parte casi come Paint che è un accessorio del sistema operativo Windows, tutti i software di grafica possono essere definiti applicativi.
Per quanto riguarda le “marche” dei programmi bisogna dire che il mercato è purtroppo quasi completamente monopolizzato da pochi produttori, ciascuno dei quali occupa pesantemente un determinato segmento. La posizione di predominio influisce ovviamente sul prezzo del prodotto; alcuni software hanno costi molto elevati e l’onere per l’utente è ulteriormente incrementato dalla politica commerciale dei continui aggiornamenti, anche questi molto dispendiosi — alcuni programmi ne propongono uno ogni anno — , ai quali è difficile riuscire a sottrarsi. In realtà i prodotti più costosi non sono necessariamente i migliori. Soprattutto per quelle che sono le specifiche esigenze della documentazione archeologica le stesse funzioni svolte dai software più noti le ritroviamo in analoghi prodotti, meno diffusi e assai più economici, di ottimo livello.
Una grande attenzione la meritano in particolare i programmi open source. Con questo termine si indicano quei software che sono rilasciati con un tipo di licenza (GNU General Public Licence) la quale ha lo scopo di garantire che le istruzioni del linguaggio di programmazione (codice sorgente) siano liberamente disponibili, per cui chiunque può concorrere a svilupparlo e modificarlo. Il risultato è che questi programmi sono gratuiti anche per gli utenti e quindi possono essere liberamente scaricati attraverso internet. Uno dei casi più noti e importanti in tale ambito è quello del sistema operativo Linux. E’ un metodo di condivisione delle conoscenze che ha tratto molto vantaggio dallo sviluppo di internet e che tutti gli enti pubblici, e in particolare le università e i ricercatori, dovrebbero cercare di sostenere.
Va chiarito che la maggior parte dei programmi di grafica parla un linguaggio comune; alcuni aspetti basilari sono addirittura condivisi con altre tipologie di applicativi come ad esempio gli editori di testo. Alcuni programmi svolgono numerose funzioni altri poche, ma i vari tipi di comandi hanno negli uni e negli altri lo stesso nome, fanno più o meno le stese cose e sono raggruppati all’interno di barre e menù secondo criteri analoghi; le icone dei pulsanti presentano simboli che sono entrati nell’uso universale (come le ben note forbici del comando “taglia”), e che si differenziano fra un software e l’altro solo per lo stile grafico. Quando ci si accosta all’informatica è importante riuscire ad avere una visione d’insieme e a focalizzare gli aspetti condivisi per imparare a muoversi con naturale disinvoltura in vari ambienti operativi. Ciò che conta non è quale marca acquistare ma capire quali sono le funzioni e le procedure più importanti e soprattutto quelle necessarie per il proprio lavoro. Saremo allora in grado di individuare i comandi che ci servono all’interno di prodotti diversi, senza smarrirci di fronte a differenze marginali. Per eventuali approfondimenti potremo in qualunque momento ricorrere alla guida del programma che stiamo utilizzando al momento. Bisogna solamente avere l’accortezza di utilizzare applicativi di tipo professionale o semiprofessionale che ci garantiscano la disponibilità delle funzioni necessarie.
Un aspetto molto importante, di cui bisogna sempre tenere conto, è piuttosto quello della interoperabilità, cioè la capacità di un programma di scambiare dati con altri prodotti simili senza particolari difficoltà. Ciò dipende in primo luogo dal formato in cui viene salvato il documento elaborato il quale viene indicato dall’estensione, cioè dalle tre lettere che seguono il nome del file dopo un punto. I formati si distinguono in proprietari e aperti. I primi sono quelli che appartengono a una determinata casa produttrice la quale usa tecnologie proprie in genere protette dal segreto industriale; quindi nella maggior parte dei casi possono essere letti solo dal medesimo programma che li ha creati. I secondi sono invece quelli liberamente disponibili che possono essere visualizzati e modificati da qualunque programma appartenente alla stessa famiglia; sono pertanto questi ultimi che garantiscono la interoperabilità tra programmi di marche diverse appartenenti alla stessa tipologia. Il problema non sussiste nel settore della grafica raster dove la stragrande maggioranza dei formati che si usano sono aperti, come ad esempio il JPEG che è quello oggi universalmente adottato per far circolare le immagini in internet. Il discorso è meno facile nel mondo della grafica vettoriale e del GIS a causa della maggiore complessità ed eterogeneità delle tecnologie impiegate. Nell’ambito dei CAD generici lo scambio dei dati utilizza ormai ovunque il DWG che è nato come formato proprietario di Autocad ma che in seguito è stato adottato e sviluppato anche dalle altre case produttrici, non senza qualche contrasto di natura legale con la casa madre. L’interoperabilità tra i DWG in ogni modo non è assoluta come quella tra i formati raster perché in questo caso le tecnologie dei programmi sono periodicamente aggiornate, per cui le versioni più recenti dei documenti salvati in DWG non vengono lette da quelle precedenti. Quindi per favorire lo scambio dei dati è consigliabile salvare il proprio lavoro in una versione di qualche anno più vecchia.
Maggiori incompatibilità sussistono tra programmi vettoriali, anche appartenenti alla stesso produttore, i quali fanno ricorso a procedure differenti, soprattutto nel campo del disegno 3d, ad esempio tra CAD e GIS o tra CAD generici e software di modellazione di fascia alta. La ricerca di soluzioni atte a garantire una sempre migliore comunicazione è comunque in continuo sviluppo. Sono stati creati numerosi software, alcuni dei quali di tipo plugin, che servono specificamente per la conversione dei formati. La più evoluta soluzione per l’interoperabilità dei sistemi GIS è quella dei webserver che sono nodi della rete, identificati da una URL, i quali eseguono funzioni e trasmettono informazioni all’utente, anche accedendo a contenuti di basi di dati, comunicando per mezzo di linguaggi standard come l’XML.
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figura 58
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