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Capitolo VIII 
La grafica raster
 
 
1. Le immagini  
 
Sono costituite da una griglia di punti quadrati detti pixel, a ciascuno dei quali corrisponde una sola tonalità di colore (fig. 59). Il pixel è pertanto l’unità minima di informazione dell’immagine. Le dimensioni dei lati dell’immagine sono determinate da due valori: numero dei pixel (dimensioni in pixel) e lunghezza, espressa in centimetri o pollici (un pollice equivale a cm 2,54). Il numero di pixel per unità di lunghezza al quadrato stabilisce la risoluzione, ossia il livello di dettaglio. Nell’uso corrente si preferisce misurare la risoluzione in pixel per pollice (usando il termine dpi = dots per inch) anziché per centimetri. Ad esempio una risoluzione di 100 dpi significa che in un pollice quadrato ci sono 100 pixel. na immagine che misura cm 30 x 20 con una risoluzione di 100 pixel per cm quadrato sarà composta da 3000 colonne x 2000 righe di pixel, per un totale di sei milioni di pixel (o 6 megapixel).  
Molti programmi di grafica consentono di trasformare le dimensioni complessive delle immagini intervenendo sulla risoluzione, sulle dimensioni in pixel o sulla lunghezza. Si possono variare liberamente solo uno o due dei tre fattori i quali sono legati da un rapporto proporzionale; il terzo si modificherà di conseguenza. Lunghezza e dimensioni in pixel vanno inoltre scalati proporzionalmente sui due lati, altrimenti l’immagine si deforma. 
Se si modificano solo le dimensioni in centimetri la qualità dell’immagine resta inalterata perché non muta il numero complessivo di pixel anche se di conseguenza cambierà la risoluzione. Se si diminuiscono solo la risoluzione oppure solo le dimensioni in pixel oppure entrambi i fattori, l’immagine sgrana, cioè si perdono i dettagli. Se invece gli stessi valori li aumentiamo la qualità non può migliorare, perchè i singoli pixel si sdoppieranno in altri di identico colore che non saranno visibili; in compenso occuperemo inutilmente una maggiore quantità di memoria.  
Nella grafica che ha una componente geometrica, come è il caso di un rilievo acquisito con lo scanner,la dimensione che ha maggiore importanza sul piano pratico è la lunghezza in centimetri. Molti programmi per immagini raster consentono di visualizzare dei righelli e delle griglie che consentono di verificare le dimensioni effettive delle varie parti del disegno. In sostanza un file nuovo creato con il programma, il quale apparirà sullo schermo uguale a una pagina bianca, equivale a un foglio da disegno reale, con delle misure in larghezza per altezza che sono state prestabilite dall’operatore. Se lo si stampa senza scalarlo — quindi in scala 1:1 — il foglio di carta che esce dalla stampante avrà le stesse misure del file.  
Allo stesso modo un disegno acquisito con lo scanner si trasformerà in un file raster con dimensioni in centimetri pari al foglio originale. Chi effettua la scansione, scegliendo tra le varie opzioni offerte dal pannello di comando dell’apparecchio, può determinare la risoluzione al fine di ottenere un’immagine più o meno dettagliata. Il numero complessivo dei pixel che compongono l’immagine — pari alle dimensioni in centimetri quadrati del foglio per la risoluzione - sarà un risultato conseguente ma di cui occorre tener conto perché più elevato sarà quest’ultimo valore e maggiore sarà la quantità di memoria occupata. 
Al contrario nelle immagini fotografiche il valore che conta maggiormente è il numero complessivo di pixel che formano l’immagine, il quale determina il livello di dettaglio. Si effettua l’acquisto di una camera digitale tenendo conto prima di tutto di questo parametro (foto con sette milioni di pixel saranno assai più particolareggiate di quelle con tre milioni). Le dimensioni in centimetri che ne conseguono sono irrilevanti in una foto prospettica. Torneranno ad avere importanza in caso di raddrizzamento dell’immagine a fini fotogrammetrici, in quel caso si provvederà a scalarla in modo da conformarla al sistema di misura del rilievo.  
Per quanto riguarda il colore delle immagini distinguiamo diversi modi di rappresentazione ciascuno dei quali richiede un determinato dispendio di memoria. 
Il più elementare è quello delle immagini in bianco e nero (fig. 59). S’intende che ogni pixel può essere solamente o bianco o nero. Fornisce pertanto un informazione di tipo binario, costituita dai soli numeri 0 e 1, che corrisponde alla parte più piccola di memoria di un calcolatore, cioè un bit.  
In una immagine in scala di grigi ogni pixel presenta una precisa tonalità di grigio tra 256 possibili gradazioni. Ogni tonalità si distingue dalle altre sulla base di una combinazione numerica. Per memorizzare tutte le possibili combinazioni si richiedono otto bit di memoria per pixel. Otto bit formano un byte che è l’unità di memoria fondamentale dei calcolatori.  
Lo stesso quantitativo di memoria serve a immagazzinare le immagini a 256 gradazioni di colori. Lo standard è oggi però costituito dalle immagini a 16,8 milioni di gradazioni di colore le quali utilizzano la tecnica RGB che si basa sulle combinazioni dei tre colori fondamentali rosso, verde e blu richiedendo per ogni pixel 24 bit di memoria (= 3 byte). Il medesimo numero di gradazioni lo si può ottenere in alternativa con la tecnica della quadricromia CMYK, particolarmente utilizzata in ambito tipografico, che sfrutta le combinazioni di ciano, magenta, giallo e nero. La memoria impegnata in questo caso è di 32 bit per pixel. 
Dunque lo spazio su disco occupato da un file raster dipende dal numero dei pixel di cui è composta l’immagine, ma anche dalle informazioni sul colore. Quando si effettua la scansione di un disegno bisogna cercare di ottenere la migliore qualità in relazione alle proprie esigenze, evitando un inutile dispendio di memoria. Per quanto riguarda la risoluzione lo standard per disegni molto dettagliati, che garantisce la visibilità anche delle linee più minute, è tra i 300 e i 400 dpi. Disegni più schematico da stampare e pubblicare in piccole dimensioni possono scendere fino a 150 o 100 dpi.  
In merito alle modalità di acquisizione si tenga presente che il bianco e nero è adatto solo per disegni dai tratti molto nitidi, come quelli lucidati con il rapidograph, o per documenti di testo, mentre è sconsigliato per i disegni a matita, in quanto le linee più chiare ed evanescenti verrebbero interpretate dallo scanner come bianche. Questi ultimi andrebbero pertanto sempre acquisiti in scala di grigi. Che il disegno risulti sporco e col fondo grigio è secondario; si potrà in seguito ripulirlo con varie tecniche. L’importante è che siano ben visibili tutti i dettagli.  
La scansione a 256 gradazioni di colori (o a 8 bit) va bene per disegni a colori piatti, come nel caso di una pianta di fase; le fotografie richiedono necessariamente l’RGB o il CMYK.  
Il formato di un documento non va confuso con le dimensioni ma attiene alla tecnologia che è stata utilizzata per creare e salvare l’immagine. Anche la scelta del formato incide in modo sostanziale sul peso del file. Alcuni formati raster — come ad esempio il PDS di Photoshop- sono proprietari, cioè possono essere letti solo dal medesimo programma che li ha creati, ma la stragrande maggioranza sono aperti. Ce ne sono molti tipi, la maggior parte in via di estinzione. I più comuni sono BMP, TIFF e JPEG.Il BMP è un formato generalmente non compresso diffuso nell’ambiente del sistema operativo Widows. Il TIFF, che è tra i più pesanti,è quello che meglio di tutti garantisce una inalterata qualità dell’immagine; è usato nel campo della grafica e dell’editoria. Tra i formati compressi si è imposto universalmente il JPEG, in particolare su internet e nelle camere digitali. Quando si salva in JPEG, una finestra chiede di definire la percentuale di compressione (espressa in valori di qualità dell’immagine da 1 — qualità minima — a 12 —qualità massima). Una compressione media non altera visibilmente la qualità di una fotografia o di un disegno e risparmia molta memoria. Gli algoritmi di compressione semplificano il calcolo dei valori di zone di colore omogeneo, risparmiando in questo modo spazio sul disco. Questa procedura pertanto non modifica le dimensioni del file (risoluzione, numero totale di pixel e misure in centimetri restano invariate); se esagerata può semmai semplificare le differenze di tono. Recentemente è stato creato un formato di compressione più evoluto, il JPEG 2000, con estensione .jp2, che garantisce una migliore qualità delle immagini; ancora però non è stato adottato da tutti i programmi di grafica. 
La produzione di un’immagine raster può avvenire con un procedimento fotografico (acquisizione con lo scanner o con la camera digitale) oppure creando un file nuovo con un software che gestisce questo tipo di grafica.  
 
2. I programmi e le procedure 
 
Il mercato offre una vasta gamma di programmi appartenenti a questa famiglia, alcuni molto elementari altri di tipo professionale. Gli applicativi più semplici, i quali svolgono alcune funzioni di fotoritocco oppure di disegno, vengono dati in omaggio acquistando una camera digitale o uno scanner.Paint , inserito tra gli accessori del sistema operativo Windows, è un programma di disegno basico, dotato di pochi comandi, ma già interessante per fare didattica nelle scuole. Photosop della Adobe ha una posizione di quasi monopolio nell’ambito della grafica professionale essendo dotato di un articolatissimo set di comandi. Esistono comunque altri prodotti di buon livello, più economici, come ad esempio Painter Classic della Corel o Microangelo. Merita senz’altro una segnalazione Gimp che è un applicativo open source, liberamente disponibile e scaricabile gratuitamente dalla rete, il quale non ha nulla da invidiare ai più noti programmi professionali ed è pertanto perfettamente in grado di svolgere tutti i tipi di elaborazioni che si possono rendere necessarie per la documentazione grafica e fotografica in ambito archeologico, come esemplificato nel prossimo paragrafo.  
Descriveremo più avanti con esempi pratici una serie di procedure utili per la documentazione archeologica. Qui illustriamo le caratteristiche generali di questa famiglia di programmi (fig. 60). L’interfaccia presenta in genere un’area rettangolare al centro per la visualizzazione del disegno o della fotografia. Come in altri tipi di software, i comandi sono raggruppati in menù a tendina lungo una fascia orizzontale in alto e contemporaneamente su delle barre mobili variamente disposte lungo i bordi. Questi ultimi sono attivabili per mezzo di pulsanti che recano dei simboli (icone) la maggior parte dei quali è di uso universale e quindi immediatamente riconoscibile (fig. 61). Talvolta invece delle barre troviamo delle finestre rettangolari più grandi (palette) con numerosi comandi o delle tavolozze con le mappe dei colori da selezionare mentre si disegna. Griglie e righelli aiutano a misurare le varie parti dell’immagine. In alcuni programmi nella barra in basso sono visualizzate le coordinate (in pixel o in centimetri) del punto dell’immagine ove è posizionato il cursore, cioè il contrassegno generalmente a forma di croce o freccia — detto anche puntatore - mosso sullo schermo dai movimenti del mouse. 
Quando si seleziona uno strumento di lavoro, premendo la relativa icona, viene simultaneamente visualizzata una finestra di opzioni in cui si possono settare vari parametri ad esso relativi. Per disegnare si utilizzano matite (fig. 61 n. 4) o pennelli (5) di cui è possibile determinare la forma della punta, lo spessore — che viene generalmente stabilito in numero di pixel -, l’eventuale grado di trasparenza ed effetti grafici di vario tipo. Si sceglie il colore puntando uno strumento a forma di contagocce (13) nella tavolozza con la mappa delle tinte. La linea viene tracciata muovendo il puntatore sullo schermo con il mouse: tutti i pixel attraversati dal cursore diventano del colore prescelto e vengono impressionate una o più file adiacenti a seconda dello spessore impostato. Se s’ingrandisce l’immagine fino a visualizzare i singoli pixel, il contorno della linea apparirà seghettato.  
E’possibile disegnare a mano libera, muovendo il mouse sullo schermo senza vincoli, oppure realizzare tracciati rettilinei cliccando sullo schermo nei punti corrispondenti all’inizio e alla fine di ciascun segmento. In alcuni programmi, tenendo premuto il tasto maiuscolo, il movimento del cursore viene forzato lungo percorsi paralleli o ortogonali. Altri strumenti di disegno molto diffusi sono il secchiello (7), che consente di riempire determinate aree dell’immagine con un colore omogeneo, e il comando testo (8) che serve a scrivere; di solito si possono scegliere il carattere e le dimensioni delle lettere come in qualunque editore di testo. 
Un altro set di comandi fondamentali in tutti i programmi di grafica, non solo raster, sono gli strumenti per modificare, solitamente raggruppati all’interno di uno stesso menù a tendina denominato “edita” o “modifica”. Si parte dalla universale triade taglia-copia-incolla per arrivare a comandi che consentono di spostare, specchiare, ruotare, scalare, deformare. I software raster dispongono in aggiunta dei comandi, tipici del fotoritocco, relativi alle trasformazioni del colore i quali sono generalmente raggruppati in un menù a sé stante. Consentono fra le altre cose di dosare il contrasto, la luminosità, la saturazione o di modificare i colori aumentando o diminuendo le quantità di ciascuna delle tre tinte fondamentali.  
Le modifiche possono essere applicate a tutta l’immagine oppure a parti di essa. In quest’ultimo caso l’area su cui intervenire va preventivamente selezionata, cioè circondata da un contorno a tratteggio che ha lo scopo di isolare i pixel da trasformare rispetto agli altri. I programmi di grafica mettono a disposizione una serie di strumenti che permettono di tracciare il contorno di selezione, in forma di un semplice rettangolo oppure a mano libera (1); per convenzione questi comandi sono collocati nella parte alta della barra degli strumenti di disegno. Spesso si tratta di un’operazione complicata soprattutto quando si deve estrapolare un determinato particolare da un’immagine fotografica il quale presenta contorni molti irregolari. Ci sono per questo strumenti di selezione che cercano di agevolare il procedimento accorpando in maniera automatica, in seguito a un semplice clic del mouse sull’area interessata, i pixel che presentano colore simile. Il grado di similitudine tra le fra varie tonalità viene valutato dal programma secondo percentuali di tolleranza prestabilite dall’operatore. 
Un modo efficiente per gestire separatamente elementi diversi dell’immagine, che evita di dover continuamente ritagliare dei contorni di selezione, è l’uso dei livelli (o layer) i quali possono essere paragonati a una serie di fogli trasparenti sovrapposti. I livelli creati dall’operatore sono elencati in un’apposita finestra di gestione (fig. 60) e vengono attivati uno alla volta con un clic del mouse. Ogni elemento dell’immagine che viene prodotto — per esempio una linea, una serie di caratteri di testo, un pezzo di fotografia ritagliato da un’altra immagine e incollato - viene attribuito al layer attivo in quel momento. Ciascun livello potrà essere in un secondo momento nascosto oppure riattivato per effettuare solo sugli elementi ad esso associati le necessarie trasformazioni, risparmiando il resto dell’immagine. E’ chiaro che la gestione dei livelli richiede un’attenta programmazione sulla base di quanto s’intende realizzare. 
Un’altra serie di strumenti comuni a tutti i programmi di grafica, non solo raster, sono quelli di visualizzazione (raggruppati sempre sotto un menù a tendina “visualizza” ed eventualmente su una delle barre). Immancabili tra questi lo zoom (fig. 61 n. 14), con l’icona che rappresenta una lente d’ingrandimento (se reca il segno “+ “ ingrandisce, con il segno “-“ rimpicciolisce) e il pan (15), simboleggiato da una manina, che consente di spostare in varie direzioni l’immagine visualizzata sullo schermo come se si muovesse un foglio di carta sul tavolo con la mano.  
Il salvataggio in formato TIFF o in alcuni formati proprietari, come il PDS di Photoshop, consente di conservare la struttura a livelli del documento. Questi però impegnano molta più memoria. Quindi è consigliabile alla fine del lavoro unificare i layer e salvare il file eventualmente in un formato più leggero come il JPEG. 
Vedremo nei capitoli seguenti come la gestione più efficiente della documentazione grafica viene svolta da programmi di tipo vettoriale, molti dei quali permettono tra le altre cose di visualizzare sullo sfondo immagini di tipo raster e di integrarle con il disegno corrente; in un CAD o in un GIS queste potranno essere correttamente georeferenziate e messe in relazione con altri rilievi eseguiti nell’area. Si può affermare pertanto che i programmi raster sono utili soprattutto per svolgere funzioni accessorie. Possono servire a migliorare la veste grafica di disegni eseguiti sia a matita che con il rapidograph, destinati a essere successivamente importati in un applicativo di tipo vettoriale, e più in generale a elaborare vari tipi di immagini — non solo rilievi, ma anche fotografie, disegni ricostruttivi, piante di fase, illustrazioni tratte da un libro — a scopo sia di divulgazione che di archiviazione. I rilievi acquisiti con lo scanner possono per esempio essere organizzati in un database, come singoli file salvati all’interno di cartelle tematiche e collegati a delle schede descrittive in forma di tabelle.  
Si fa inoltre ricorso ai programmi raster per realizzare le texture, fotogrammi che vengono inseriti nei modelli tridimensionali costruiti in CAD per ottenere effetti di particolare realismo in fase di render.  
Una tipologia particolare, che abbiamo esaminato in uno dei precedenti capitoli, è quella dei software di fotogrammetria i quali gestiscono il raddrizzamento dei fotogrammi.  
 
3. Elaborazioni grafiche di rilievi 
 
Un rilievo lucidato con il rapidograph può essere acquisito con lo scanner ed elaborato al pc per essere archiviato oppure destinato a una pubblicazione. Con lo strumento testo possono essere aggiunte quote, numeri di US, legenda e altri caratteri grafici evitando uno scomodo lavoro con il normografo. Le dimensioni in centimetri del file raster coincidono con quelle del foglio scansionato. In previsione di una pubblicazione conviene portare il file alle stesse misure in centimetri dell’immagine sul libro, usando l’apposita finestra che gestisce le dimensioni del documento ed eventualmente la taglierina — sulla barra degli strumenti di disegno — per accorciare uno dei due lati. Sarà più facile rendersi conto del risultato finale e accertarsi, anche con prove di stampa in scala 1:1, che la grandezza del testo sia leggibile.  
Se invece il disegno dovrà essere acquisito in un CAD o in un GIS converrà apporre i caratteri di testo con gli strumenti messi a disposizione dalla grafica vettoriale che, come vedremo, sono assai più efficienti.  
In alcuni casi vale la pena evitare il procedimento di lucidatura con il rapidograph, o la vettorializzazione in CAD, acquisendo con lo scanner direttamente il disegno a matita (in modalità tono di grigi) per poi migliorarlo con il programma raster (fig. 62). Si cercherà innanzitutto di eliminare il fondo grigio e far risaltare il segno a matita dosando nel modo giusto luminosità e contrasto. Il comando cancella (tra gli strumenti di disegno) il quale produce l’effetto di sbiancare i pixel dell’immagine ripassati dal puntatore, può servire per eliminare annotazioni a matita, parti annerite del foglio e quanto altro. I contorni di alcuni elementi possono essere marcati o modificati utilizzando gli appositi strumenti di disegno (pennello o matita) scegliendo volta per volta lo spessore del segno, espresso in pixel, nella relativa finestra di opzioni. Infine si aggiungeranno eventuali scritte e simboli grafici usando lo strumento testo. Ovviamente chi intende adottare questa procedura deve avere cura di realizzare disegni a matita nitidi e precisi; altrimenti rischia di perdere più tempo ad aggiustarli con gli strumenti di editing del programma che a lucidarli col rapidograph. Inoltre va considerato che l’elaborazione finale di un rilievo deve risultare coerente e rispettare determinate regole: per esempio ad ogni tipo di linea — sezione, contorno di US, caratterizzazione dei materiali — corrisponde un diverso spessore del pennino. I disegni a matita eseguiti sul campo dovrebbero pertanto già tenere conto di questi parametri. 
In alternativa si può procedere alla lucidatura dell’originale a matita utilizzando gli strumenti di disegno del programma raster (fig. 63a), quantunque come vedremo è sicuramente più razionale affidarsi a un CAD. Il disegno visualizzato sullo sfondo viene ricalcato usando lo strumento matita del programma. Conviene predisporre una serie di livelli nella apposita finestra di gestione, suddivisi per temi — ad esempio “contorno”, “testo”, “opera laterizia”, “opera cementizia”, ecc. - , cui associare i vari di tipi di linea. Ogni segno tracciato sullo schermo viene automaticamente attribuito al livello attivo in quel momento. Si regolerà volta per volta lo spessore della punta della matita a seconda del tipo di linea, allo stesso modo di come si cambia pennino quando si disegna con l’inchiostro di china.  
E’ preferibile tracciare a mano libera i contorni dei materiali usurati o gli elementi della caratterizzazione archeologica, rappresentare invece con segmenti rettilinei i profili regolari di elementi architettonici meglio conservati, tenendo anche conto della scala adottata. Questi ultimi vengono tracciati cliccando con il mouse sul punto iniziale e finale della linea, oppure premendo simultaneamente il tasto maiuscolo che vincola il movimento del mouse in direzioni ortogonali, altrimenti aiutandosi con una griglia geometrica messa sullo sfondo. Nel caso fosse necessario tracciare una serie di linee parallele ed equidistanti (ad esempio per rappresentare in un prospetto l’opera laterizia), conviene preimpostare la scansione del reticolo secondo la misura necessaria (ad esempio ogni 2,5 mm se il file è in scala 1:20 come il disegno originale e il modulo dell’opera laterizia è pari a 5 cm per filare). Quindi si attiva lo snap alla griglia che è una calamita che forza il puntatore a muoversi sulle linee del reticolo.  
Per velocizzare il disegno dei simboli della caratterizzazione archeologica è utile in taluni casi ricorrere ai comandi copia-incolla. Si abbozza ad esempio un piccolo insieme di scapoli tufacei dell’opera cementizia, si selezionano — tracciandovi intorno il contorno tratteggiato di selezione — e poi si incollano ripetutamente all’interno del contorno da campire. Effetti di ombreggiatura possono essere realizzati rinforzando lo spessore del segno lungo il bordo inferiore di elementi architettonici oppure ricorrendo allo strumento pennello che lascia degli aloni semitrasparenti lungo i margini delle linee. 
I colori messi a disposizione dalle tavolozze risultano particolarmente adatti per l’elaborazione di piante ricostruttive e di fase, in luogo dei tradizionali retini (fig. 63b). Per questo tipo di lavori è comodo usare il secchiello che campisce con tinte uniformi aree racchiuse da linee di contorno o già colorate in modo omogeneo. Nella finestra delle opzioni dello strumento è possibile impostare anche vari livelli di trasparenza. 
 
4. Fotoritocco e fotocomposizioni 
 
Diamo alcuni esempi delle operazioni che si possono eseguire sulla documentazione fotografica con finalità sia di archiviazione che di divulgazione.  
Fondamentali sono le regolazioni del colore per migliorare la qualità dell’immagine. L’aumento della saturazione (che significa tonalità più intense) rende più visibili i dettagli facilitando l’interpretazione del contesto ripreso; le accentuate differenze cromatiche aiuteranno per esempio a identificare gli strati di terra messi in luce sulla parete dello scavo. La procedura è utile anche per le foto raddrizzate con un programma di fotogrammetria in quanto metterà in risalto i contorni dei materiali e degli elementi architettonici che dovranno essere vettorializzati.  
I contrasti esasperati tra primo piano in luce e sfondo scuro, tipici delle fotografie scattate con il flash in ambienti angusti e bui, si possono parzialmente risolvere per mezzo dello strumento sfumatura (fig. 61 n. 11) che stende gradazioni di colore o di luce (da più chiaro a più scuro o viceversa) sulle parti dell’immagine selezionate. Si può poi lavorare nel dettaglio utilizzando due speciali pennelli, denominati scherma e brucia (12), che hanno la proprietà rispettivamente di schiarire e di scurire i pixel su cui vengono passati. La sfumatura si adatta inoltre a dare effetti di curvatura alle superfici, creando effetti tridimensionali (fig. 64b). 
I filtri sono strumenti che applicano alle immagini i più svariati effetti grafici, visualizzabili in un’anteprima (fig. 65a). Il comando clona, rappresentato con un timbro (fig. 61 n. 10), è un altro dispositivo essenziale del fotoritocco il quale, lavorando come un pennello, consente di spalmare una parte selezionata dell’immagine su un’altra zona della stessa immagine. Può servire a replicare un oggetto ma anche a eliminare dalla scena oggetti che disturbano e altri difetti (fig. 65b). Utilizzando i comuni strumenti di disegno — matita, pennello, secchiello, testo — si potranno eventualmente aggiungere alle fotografie segni grafici e annotazioni. 
La fotocomposizione è un’immagine composta da ritagli di varie fotografie, copiati da altri file e incollati sul documento di destinazione. Ogni oggetto incollato viene assegnato a un nuovo layer creato automaticamente dal programma. In tal modo è possibile spostare, scalare e attuare altre trasformazioni sulle singole figure, attivando volta per volta i rispettivi livelli. Gli oggetti incollati per ultimi coprono quelli già presenti. L’ordine di visualizzazione delle immagini corrisponde alla posizione dei rispettivi layer nella finestra di gestione: i livelli elencati in alto coprono quelli in basso. Si possono invertire le loro posizioni nella paletta, e di conseguenza nel disegno, agganciando e trascinando con il mouse le relative icone (fig. 66). 
I fotopiani sono mosaicature di fotogrammi ortorettificati i quali documentano porzioni del territorio, in caso di foto aeree, oppure facciate di edifici ed elementi del paesaggio. Le tecniche fotogrammetriche consentono l’esecuzione di fotopiani riferiti in modo rigoroso a un piano cartesiano comune. Con un qualunque programma raster si possono assemblare strisciate di fotografie raddrizzate e accostate in maniera più approssimativa allo scopo di illustrare determinati contesti (fig. 66). In questo caso i singoli fotogrammi, preventivamente elaborati con gli strumenti di raddrizzamento geometrico ed eventualmente ritagliati, vengono copiati nei rispettivi file d’origine e incollati uno dopo l’altro nel documento di destinazione. A ogni fotogramma corrisponderà un determinato layer. Saranno pertanto trasformati separatamente, con operazioni sul colore per attutire le differenze di tono tra fotogrammi adiacenti e quindi scalati e accostati.  
 
5. Elaborazione di texture per i modelli 3d 
 
Le ricostruzioni tridimensionali in CAD vengono mappate con le texture, che sono delle immagini raster le quali riproducono in modo realistico i materiali da costruzione e si ripetono l’una accanto all’altra come mattonelle (“tiles”) vestendo interamente le superfici del modello (fig. 67). Una texture di buona qualità deve riprodurre in maniera verosimile il materiale edilizio, ma senza rendere evidente la ripetizione del motivo. Le texture più belle hanno origine da fotografie. Le foto tuttavia hanno il difetto di mostrare tonalità di luce e colori cangianti, oltre a rappresentare gli oggetti in prospettiva.  
Se ad esempio accostiamo due uguali ritagli rettangolari ricavati da una foto più grande e comprendenti un gruppo di mattoni, vedremo che gli uni e gli altri non si allineano perfettamente a causa della deformazione prospettica. Inoltre il punto di attacco sarà reso ancora più visibile a causa di una inevitabile chiazza di luce o di ombra che risalta lungo il bordo di una delle due immagini.  
Per rimediare a questi inconvenienti bisogna sottoporre le texture a vari trattamenti con un programma di fotoritocco. Gli espedienti sono molteplici. Per annullare le differenze di tonalità e di luce tra una parte e l’altra dell’immagine si usano innanzitutto gli strumenti di regolazione del colore, dosando luminosità, contrasto e saturazione. La sfumatura aiuterà a schiarire le parti più scure e viceversa. Stendere un velo semitrasparente di colore su tutta la foto con il secchiello attutisce ulteriormente le differenze.  
Per eliminare la deformazione prospettica e far combaciare gli allineamenti dei paramenti murari si ricorre a un procedimento di raddrizzamento di tipo geometrico. Specchiare le varie repliche della texture in orizzontale e in verticale consente poi di verificare tutti i possibili punti di attacco. 
Molto evidente e fastidiosa risulta anche la ripetizione di alcuni dettagli dell’immagine che spiccano rispetto agli altri, ad esempio un mattone con una tonalità più vivace, una frattura della pietra più larga e scura, un frammento di tufo dell’opera cementizia con una forma particolare. Il problema si risolve eliminando o riducendo l’impatto visivo di questi elementi per mezzo di pennellate di colore più o meno trasparenti oppure utilizzando il timbro clona. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
figura 59 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
figura 60 
 
 
 
figura 61 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
figura 62 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
figura 63a 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
figura 63b 
 
 
 
 
 
 
 
 
figura 64b 
 
 
figura 65a 
 
 
figura 65b 
 
 
figura 66 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
figura 67 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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